“Dio ti ha castigato”. Le nostre violenze e il Dio del vangelo

DioIn quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Vangelo di Luca 13, 1-9. Per leggere i testi di domenica 28 febbraio, terza domenica di quaresima “C”, clicca qui)

DUE FATTI DI CRONACA

Gesù cita, nel vangelo di oggi, due fatti di cronaca. Primo fatto. Alcuni guerriglieri zeloti che combattono contro i romani vengono trucidati da Pilato mentre si trovano nel tempio. Secondo fatto. Alcuni operai, diciotto per l’esattezza, che stanno lavorando vicino alla fontana di Siloe, muoiono travolti da un crollo. Questo è un incidente di lavoro, incidente fortuito, mentre l’altro è un incidente provocato dalla ferocia e dalla ottusità di Pilato. Di fronte ai due fatti, la gente ragiona così: Dio è giusto. Se, dunque ha permesso la morte di quella gente, significa che costoro “avevano qualcosa con Dio”, avevano commesso dei peccati che hanno provocato la giustizia di Dio. Gesù rifiuta questa visione e afferma, in maniera decisa, che le vittime dei due gravi fatti di cronaca non erano più cattivi degli altri. Soltanto, la loro morte può diventare un monito a convertirsi.

CONVERTIRSI. LA PAZIENZA DI DIO PUÒ AVERE UN TERMINE

La conversione è una nota dominante della predicazione del Battista, di quella di Gesù e della Chiesa primitiva, così come è descritta dagli Atti. La conversione è il cambio di mentalità che porta a cambiare radicalmente i propri modi di vedere e di pensare: bisogna affidarsi a lui, cambiare vita. Bisogna uscire dalla violenza e non sanzionarla appellandosi a Dio.

Per illustrare la verità che intende annunciare, Gesù racconta la parabola del fico. È una scena tipica di un imprenditore agricolo. Che cosa fare di questa pianta che non produce più nulla? Il proprietario vorrebbe tagliarla. Il suo amministratore, invece, propone di provare un’altra vota.

L’allusione ad Israele è evidente. Già Osea vedeva nell’albero del fico un’immagine del popolo di Israele. Immagine simile all’altra, quella della vigna, essa pure profondamente allusiva ad Israele. Dunque: Dio è paziente; ma questa pazienza non è fissata dal nostro comodo ed ha un limite. Non si può impunemente approfittare della bontà del Signore.

LA PASSIONE CRISTIANA PER LE VITTIME

“Dio ti ha castigato”. La parola terribile che si sente talvolta ancora ripetere… Ricordare la prima lettura. Mosè si leva i calzari. Dio è “diverso”, non è come ce lo aspettiamo noi: è anzitutto colui che libera e salva: è il Dio dell’Esodo. Dove era Dio, quando i diciotto operai della Torre di Siloe crollò? Dov’è Dio quando la gente soffre e muore, senza nessuna colpa, in Siria, in Medio Oriente, in Africa, altrove? Era con le vittime… Il cristianesimo ha sempre una strana, ma costante propensione per le vittime. Dunque, Dio non è un’arma da usare gli uni contro gli altri. Il vangelo aggiunge che anche noi dobbiamo essere “diversi”, cambiare, convertirci. Il nostro cambiamento deve andare incontro al Dio del perdono. Le due cose – l’idea di Dio e l’idea di noi – sono strettamente legate. Se Dio resta Dio, ci sentiremo indefinitamente impegnati a camminare verso di lui, a diventare sempre più come lui, amanti e perdonanti. Se invece Dio diventa l’arma contro coloro che odiamo, avremo il motivo ultimo e definitivo per non cambiare: Dio stesso sanzionerà i nostri odi e noi finiremo per morirvi dentro.