Processo Bossetti. È il turno dell’imputato

Foto: L’avvocato Claudio Salvagni, avvocato difensore di Bossetti

LE TRACCE CHE INCHIODANO BOSSETTI

Venerdì tocca a Massimo Bossetti. Al processo per l’uccisione di Yara Gambirasio, è il giorno dell’imputato. Finora l’aula della Corte d’Assise non gli ha detto granché bene. Al di là di colpi di scena più che altro apparenti, le molte udienze hanno confermato che gli investigatori – alla ricerca del classico ago nel pagliaio – individuarono sugli slip della povera adolescente il suo dna. Di qui non si scappa, fatto salvo tutto lo spazio necessario per la dialettica processuale. Se il muratore di Mapello continua a negare il delitto, senza spiegare la presenza di quella traccia, difficile (anche se non impossibile) sfuggire alla condanna.

L’ACCUSA HA LE SUE FATICHE

Ma nemmeno per l’accusa la strada è tutta in discesa. Ora come ora, l’assassinio di Yara resta senza ricostruzione e senza movente. Invariato il quadro dell’inchiesta anche sotto questo aspetto. Veri supertestimoni non se ne sono visti. Ci sarebbe la deposizione di una signora, che racconta, con una certa ricchezza di particolari, d’aver riconosciuto Bossetti insieme a Yara, in auto nel parcheggio del cimitero di Brembate, pochi giorni prima del delitto. La prova che carnefice e vittima già si conoscevano? Ardua conclusione, perché la donna poté ricordarsene solo a quattr’anni di distanza, quando l’identità e il volto dell’imputato diventarono di dominio pubblico, in seguito al suo arresto. E tanto tempo trascorso non puo’ che mettere in forse qualsiasi riconoscimento.

LA MOGLIE LO DIFENDE 

A difesa dell’imputato, c’è la sua famiglia. Segnatamente la moglie, Marita, la cui deposizione è stata a lungo sul filo del rasoio. Un avvocato di parte civile le ha posto alcune domande, che forse non sarebbe stato il caso d’ammettere. La donna s’era già presa, in parte preponderante, la responsabilità dei video a luci rosse sul pc di casa. Poteva anche bastare, senza esser richiesta di precisazioni e specificazioni legittimamente ormai disperse nella memoria. Lei comunque non ha ceduto, rafforzando l’atto di fede verso il padre dei suoi tre bambini.

ANCHE BOSSETTI HA DIRITTO ALLA PIETÀ

Che cosa dirà Bossetti è atteso in particolare da chi lo ritiene responsabile. Perché il muratore, con le spalle al muro da quasi due anni, continua a negare? Ecco la domanda da mille dollari. E l’unica risposta, da questo punto di vista, sembra essere che lui stesso considererebbe tanto disdicevole il suo misfatto da vergognarsene. Negherebbe affinché lui stesso e i suoi figli in futuro possano difendersi. Un condannato innocente.
In fondo, sarebbe, quest’ultima, una forma essa stessa di resipiscenza, pur estrema. All’osservatore pacato preme soprattutto che sia preservato il concetto di pietà a cui ogni essere umano ha diritto. Perciò ascoltiamo tutti, specialmente l’opinione pubblica e i suoi rappresentanti, la versione di Massimo Bossetti, magari provando pure a mettersi nei suoi panni. Inimmaginabilmente scomodi, se davvero non fosse lui l’assassino. Ma ancor più scomodi, forse, se sì.