Io sono un testimone: un nuovo emoj e una campagna sul web per battere il cyberbullismo

Negli Stati Uniti è nata un’iniziativa che si chiama “Io sono un testimone” (“I am a witness”) che intende frenare tanto il cyberbullismo quanto il “revenge porn” . E’ stata lanciata da Apple con la realizzazione di un nuovo “emoj” (gli emoj sono le faccine che ci mandiamo con i messaggi sugli smartphone). Il nuovo disegno raffigura un occhio incorniciato da un fumetto. I simboli di questa campagna si possono scaricare con un’app gratuita che si chiama “IAmAWitness”. In sostanza, quando qualcuno viene preso di mira nella Rete, si può organizzare una campagna simpatizzante a favore della vittima

Il bullismo tecnologico, o cyberbullismo, miete vittime in Italia come negli altri Paesi. Nel nostro, però, le campagne per contrastare il fenomeno sembrano risentire di una certa pigrizia mentale. Si rivolgono, quasi indifferentemente e spesso con lo stesso linguaggio, ai bulli o alle vittime. Sono iniziative viziate da una certa confusione semantica. Parlare esclusivamente al bullo o alla vittima significa, in ogni caso, deresponsabilizzare tutti gli altri. Secondo una ricerca compiuta negli Usa (la vera patria originale del cyberbullismo), almeno il 90 percento degli adolescenti intervistati ha dichiarato di essere stato testimone di un atto di cyberbullismo su Facebook, Tumblr, Twitter, Youtube, eccetera. I fenomeni più diffusi sono divisi in due grandi categorie:

cyberbullismo vero e proprio e, meno noto ma molto diffuso, il cosiddetto “revenge porn”.
In entrambi i casi, si tratta di azioni che producono gli effetti più nefasti proprio quanto più grande è la platea digitale che riescono a mettere insieme. Una ragazza, con dei problemi di assimilazione dei grassi, ha trovato su Youtube un video che la ritraeva. Era stato visto da almeno 4 milioni di persone. I commenti, feroci, mettevano in evidenza la magrezza estrema di questa ragazza. Nel caso del “revenge porn”, poi, la dimensione della platea può creare più di un problema. Si tratta di video o foto rubate dal fidanzato o dalla fidanzata nei momenti di intimità e poi, per ripicca o per dispetto, pubblicati sul web e sui social. Le reazioni degli spettatori, in entrambi i casi, possono fare la differenza. Ne sono convinti, negli Usa, gli animatori di un’iniziativa che si chiama “Io sono un testimone” (“I am a witness”). E’ stata lanciata da Apple con la realizzazione

di un nuovo “emoj” (gli emoj sono le faccine che ci mandiamo con i messaggi sugli smartphone). Il nuovo disegno raffigura un occhio incorniciato da un fumetto.
I simboli di questa campagna si possono scaricare con un’app gratuita che si chiama “IAmAWitness”. L’iniziativa è promossa da una associazione no profit che si chiama “Ad Council”. Hanno aderito, oltre alla stessa Apple, anche società come Johnson & Johnson, Google, Facebook, Twitter e Adobe. L’idea è semplice: se a fronte di un messaggio negativo scritto da un “hater” (letteralmente “odiatore”, si chiamano anche così i cyberbulli) facessero riscontro decine di messaggi positivi scritti da quel 90 per cento di platea silenziosa, gli effetti deleteri del cyberbullismo e del “revenge porn”, sarebbero fortemente ridimensionati. Anzi, si otterrebbe l’effetto di rendere ridicoli e fuori luogo gli insulti degli “hater”.

“Speriamo che in questo modo si possa costituire un collettivo di persone che si tramutino da spettatori passivi in un gruppo di persone unite contro il bullismo”, ha detto Lisa Sherman, presidente e CEO di “Ad Council”. “Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto”, ha detto Papa Francesco a Lampedusa l’8 luglio del 2013. “La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, – ha spiegato il Pontefice alle decine di migranti che assistevano alla Santa Messa -, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”. Funziona così, purtroppo, anche nella vita dei social. Sarà meglio scegliere di stare dalla parte dei simpatizzanti.