Il buon pastore e noi, “pecore” dallo sguardo corto

In quel tempo, Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola” (Vedi Vangelo di Giovanni 10, 27-30. Per leggere i testi liturgici di domenica 17 aprile, quarta di Pasqua, clicca qui)

PASTORE E PECORE

Gesù inizia il vangelo di questa domenica riassumendo i versetti precedenti dove aveva detto: “Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. Gesù dice in questo vangelo: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. L’ascoltare nella bibbia non è mai soltanto un puro porgere l’orecchio, ma è qualche cosa di molto più profondo. Spesso è sinonimo di “obbedire”: l’ascolto diventa adesione, adesione di vita, di tutta la vita. Anche il verbo “conoscere”, come noto, non è solo un rapporto intellettuale, ma rapporto personale, di amore… Mentre il “seguire” è la conseguenza naturale e del conoscere e dell’ascoltare. Dunque le pecore obbediscono, conoscono, seguono il pastore.

PASTORE NON LADRO

Il Signore, afferma ancora Gesù, è sempre pastore. Avendo con le sue pecore un rapporto personale e amoroso non le abbandonerà mai. Gesù aveva parlato del ladro che è esattamente l’opposto del pastore. “Il ladro, infatti, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore”. Per le pecore, dunque, stare con il Signore significa avere la vita in pienezza (la “vita eterna”) perché lui è sempre con loro: è il buon pastore, appunto, che non abbandona e non tradisce mai le sue pecore.

L’AMORE DEL PADRE COME GARANZIA

La fedeltà del pastore è sicurissima. Gesù, infatti, parla di sé e del Padre dicendo “siamo” – al plurale – e dice di essere con il Padre una cosa sola. Gesù ripete dunque che i rapporti tra lui e il Padre sono unici, che l’amore che li unisce è talmente intenso che essi sono una cosa sola. Ed è precisamente questo amore “che viene dall’alto” che fa da garanzia alla fedeltà indefettibile del pastore.

MI IMPEGNO. MA NON SO PERCHÉ

I tre termini: del vangelo di oggi “ascoltano la mia voce”; “io le conosco”; “esse mi seguono”. I limiti del cristiano moderno che sono spesso limiti o di ascolto e di conoscenza, o di compagnia con il Signore. Il cristiano moderno, infatti, spesso ascolta soltanto, anzi: sente la Parola: la fede è diventata semplice convinzione, un vago complesso di idee. Oppure, al contrario, la fede è diventata impegno per gli altri, bello e significativo, ma manca spesso il perché di quel molto “darsi da fare”. Dovrei, infatti, io credente, ricordarmi, anzitutto, che mi do da fare perché ho scoperto che il Signore che si è dato da fare per me.

VITA PIENA

Solo questo ci permette di avere la vita in pienezza: la “vita eterna”. Vedi le splendide immagini della seconda lettura: gli eletti, folla sterminata, “stanno” davanti al trono – sul quale siede Dio – e all’Agnello, che sta accanto a lui. Sono figli che lo guardano in faccia. E lui stenderà la sua tenda su di loro: lui diventerà la loro casa. E saranno davvero, definitivamente, felici. Ciò che è bene sarà conservato: le palme nella mani sono segno di una vita vissuta generosamente; ciò che è male è stato distrutto: “non avranno più fame, né avranno più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta”; egli tergerà ogni lacrima dai loro occhi e il Signore li guiderà ai pascoli della vita.

INSIEME TRA NOI, INSIEME CON LUI

Ma per stare sempre con il Signore dobbiamo stare con lui oggi. Ci assicurano che le pecore hanno un raggio visivo ridotto e ci dicono anche che è per questo che stanno sempre insieme e che hanno bisogno di qualcuno che le guidi con la voce.

Abbiamo lo sguardo ridotto. Siamo pecore: vediamo qualcosa della nostra vita: non sappiamo che cosa ci capiterà domani e spesso non ricordiamo neppure che cosa ci è capitato ieri. Per questo dobbiamo vivere insieme le nostre sofferenze e le nostre gioie – essere “gregge” – e, insieme seguire una guida che, lui sì, ha lo sguardo più lungo del nostro e può guidarci ai “pascoli della vita”: dobbiamo cioè essere il gregge che appartiene a lui, “gregge del Signore”.