La giustizia – bilancia non è l’unico modello possibile: «Il bene non si costruisce con altro male»

È una bilancia la rappresentazione della giustizia: se pensiamo, con senso comune, a una sentenza giusta in un processo, su un piatto della bilancia mettiamo il reato del colpevole e, sull’altro piatto, la pena inflitta, in anni di carcere; questi sono giusti se corrispondono alla gravità della colpa; se non lo sono la bilancia non sta in equilibrio (Anche nell’educazione spesso si procede allo stesso modo: di fronte alla colpa di un bambino si cerca un giusto castigo, proporzionale alla colpa. Così nel giudicare quanto avviene nella società e nel mondo d’oggi, che pure è ad uno snodo epocale).

Può contribuire a mettere in crisi questi comuni modi di pensare quanto emerso da uno dei seminari svolti all’università di Bergamo, guidati da Ivo Lizzola, quello del 4 maggio con la partecipazione di Luciano Eusebi, docente di diritto penale all’Università Cattolica di Milano.

Comunemente, dunque, si è convinti, seguendo un diffuso modello “retributivo” della pena, che a un reato debba corrispondere una punizione quantitativa espressa in anni; il giudice è tanto più giusto quanto preciso nel calcolare gli anni di carcere; e, se un reato nell’opinione pubblica è ritenuto più grave e diffuso del passato, si chiede al legislatore, per giustizia, di aumentare gli anni di carcere. Non siamo molto lontani dalla “legge del taglione”, “occhio per occhio, dente per dente”, solo che si è trovata una misura aritmetica in tempi di detenzione e privazione della libertà.

Anzi ci si illude che questo modello quantitativo serva alla prevenzione di altri reati (così in casa si castiga perché il bambino “non lo faccia più”).

Non solo il professor Eusebi, ma la realtà mostra che questo modello di prevenzione (e di educazione) è sbagliato e non funziona: il 70% di chi subisce solo il carcere, uscitone, commette nuovi reati; (il bambino che non ha interiorizzato e capito, appena il castigamatti non c’è, ci riprova). Il guaio è  che, in questo modello rappresentato dalla bilancia, sul piatto corrispondente alla colpa si mette una cosa sbagliata, un altro male, non un bene: una sofferenza, un danno, si pareggia con un’altra sofferenza inflitta, un altro male. Il colmo è che la vittima che ha subito il reato da questa pena non riceve nulla se non una risposta simbolica.

Il modello di giustizia (e di educazione) diverso che il professor Eusebi, e non solo, propone è quello di una giustizia “riparativa”, come si dice ormai seguendo una traduzione dall’inglese, che è la lingua in cui sono stati pubblicati negli ultimi vent’anni i maggiori studi in proposito, o meglio una giustizia “reintegratrice”.

La vera giustizia (e la buona educazione) è quella che di fronte al male fa progetti di bene; il bene non si costruisce con altro male. E che cosa propongono la giustizia riparativa e il professor Eusebi nei suoi insegnamenti e libri, come per esempio La Chiesa e il problema della pena, ed La Scuola e Una giustizia diversa. Il modello riparativo e la questione penale, ed. Vita e pensiero? [il secondo libro ha anche contributi dei bergamaschi Ivo Lizzola e don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri italiane; a Roma con lui è il nostro don Michele Chioda, cappellano nel carcere di Rebibbia].

Propongono due modalità diverse: pene alternative al carcere e la mediazione penale, in sostanza la costruzione di un progetto di bene. La mediazione penale è un processo che coinvolge in un dialogo, con relazioni esigenti, richiami di responsabilità, sia il colpevole, che la vittima e la società, per la costruzione di un pensiero nuovo e progetti impegnativi di riparazione. Per questo gli studenti del professor Lizzola si incontrano, periodicamente, con giovani di varie carceri lombarde.

Sull’altro piatto della bilancia, a compensare il male, per fare giustizia, e prevenzione, bisogna mettere progetti di bene.

Questo nuovo modello di giustizia (e di educazione) è un modello culturale importante anche per il mondo di oggi, in cui si tende, in questa “guerra mondiale a pezzi”, a ritenere che quelli di cui pensiamo male possano essere legittimamente distrutti: «la nostra umanità, ha voluto insegnare il professor Eusebi agli studenti di Bergamo, non è in grado di permettersi altri secoli di distruzione, specie ora che esistono mezzi di distruzione di massa. L’umanità ha bisogno di giustizia, di progetti di bene per tutti».

Ha voluto anche aggiungere, come nel suo primo libro citato, che l’abbandono del modello retributivo, farà bene anche alla fede cristiana, nella quale si è insinuato, con l’idea che Dio Padre abbia avuto bisogno di far soffrire il Figlio sulla croce per mettere la sua sofferenza sul piatto della bilancia e controbilanciare il peccato, con un altro male, oscurando così la donazione e rivelazione dell’amore e della misericordia.

(Questo articolo sarà pubblicato nei prossimi giorni anche sul bollettino parrocchiale di Albino. Ringraziamo la redazione per averlo condiviso con noi in anteprima)