Monica Maggioni al Bergamofestival: «Il terrorismo ci sconfigge ogni volta che decidiamo di restare indifferenti a ciò che accade»

Altri ospiti d’eccezione al Bergamo Festival Fare la pace sono stati Monica Maggioni, presidente Rai, e Paolo Magri, vicepresidente esecutivo e direttore dell’ISPI, nonché membro del comitato scientifico del Festival. Tema scelto per l’incontro è stata la relazione fra il ruolo della comunicazione e il nuovo terrorismo. «Stiamo vivendo una fase di nuovo terrorismo, non imprevedibile né tanto meno inattesa, una fase in cui tale fenomeno può essere definito tanto asimmetrico, caratterizzato, infatti, da azioni isolate di alcuni soggetti, quanto simmetrico, per la presenza di uno stato e di un esercito che si fanno promotori di questi attacchi. È un terrorismo nuovo perché ha un esercito di circa 30.000 uomini che provengono da ogni parte del mondo e che cresce velocemente attraverso il reclutamento e l’affiliazione ad esso di numerosi gruppi armati locali oltre che di giovani che scelgono di sposarne la causa. E anche se i tristemente noti filmati dell’orrore documentano luoghi e fatti distanti, colpiscono e fanno paura, perché raggiungono anche noi. Proprio la comunicazione, come strumento di diffusione, ha sancito e riconosciuto l’esistenza dell’Isis e dei foreign fighters, radicalizzando cellule dormienti trasformandole in terroristi» – così introduce il tema Magri. Eppure questo nuovo strumento che tanto spaventa l’occidente non sembra essere una novità, come spiega il presidente Rai: “Già nel 2004, a Falluja, Al Zarqawi, creò un media center e fu il primo mostrare a mandare in rete immagini di uccisioni. Così come anni prima ai terroristi di Al Qaeda veniva rivolto l’invito di combattere attraverso le keyboards, le tastiere dei computer. Eppure questa strategia comunicativa è cresciuta indisturbata ed efficace, divenendo capace di raggiungere in forme differenti precisi e diversificati pubblici. Da una parte un pubblico occidentale che subisce, passivo, che teme questa minaccia, ma al contempo è in grado di reggerla, come se le immagini che vedesse fossero ben fatti film dell’orrore; dall’altra, queste brevi clip, simil videogioco, raggiungono e attraggono ragazzi stranieri di seconda e terza generazione che vivono conflitti generazionali e sociali e che trovano nel terrorismo la possibilità di una storia eroica diversa da quella subita”. Dopo aver sollevato il problema, è necessario, o almeno doveroso, cercare di formulare una risposta. Magri ricorda, prima di proporre la propria posizione, una mossa attuata dalla Maggioni quando ancora era direttore di Rai News, ovvero quella di non trasmettere i tanti discussi filmati dell’orrore, perché sono ciò che fa scalpore, notizia, ma non perché non vengano più passati significa che tali barbarie siano cessate. “Le mie risposte sono due: rassicurazione e preoccupazione al tempo stesso. Ora questo nuovo terrorismo si conosce, si sa che si può distinguere un terrorismo vicino e uno lontano, substrato del primo, un fenomeno che non prevede gerarchie, ma fonti d’ispirazioni; si sa che i militanti europei sono poche decine contro le migliaia che agiscono in Medio Oriente, così come è noto che sono milioni i musulmani da conoscere, incontrare e integrare nella nostra società per evitare che diventino terreno fertile per quegli ancora pochi integralisti. E ancora si sa che a nulla servirebbe rinforzare confini, ma che sarebbe, invece, necessario un intervento militare mirato, non esagerato, per evitare che sfoci in una guerra di religione, soprattutto perché avanzato dall’Occidente, ma selettivo e sociale per creare nuove politiche e nuove forme di dialogo”. Provocatoriamente la Maggioni pone la risposta in un’ulteriore domanda: “Quante testate nazionali e telegiornali oggi parlano dell’’attacco terroristico dell’11 maggio di Khadhimiya? Delle tre principali testate nazionali, due non ne fanno accenno e una terza ve ne dedica un paio di righe. Tutto questo per dire che in questo modo il terrorismo ogni giorno ci sconfigge, ogni volta che restiamo indifferenti e distanti nei confronti di notizie, che sono vite spezzate di uomini e donne che ai nostri occhi non contano nulla. Veniamo sconfitti ogni volta che scegliamo di essere globali per ciò che ci interessa e locali nei confronti di quello che non ci interessa. È senza dubbio difficile informarsi e comunicare in un mondo così complicato, ma se vogliamo fare la pace, dobbiamo assumerci la responsabilità dell’informazione, rifiutando risposte semplici a questioni complesse”. Oggi 13 maggio il festival continua con un doppio appuntamento al Centro Congressi Giovanni XXIII con Gian Enrico Rusconi, storico e politologo, che parlerà di «Egemonia virtuale. La germania contemporanea e la sindrome Bismark» (ore 18). Alle 21 «La mia Africa. Voci di speranza e cambiamento» di Walter Veltroni.