L’età contemporanea? Un nuovo Rinascimento. Ma allora perché così tanti si sentono falliti?

Se davvero questo è il momento migliore della Storia per vivere, perché così tante persone si sentono fallite? Se lo chiedono due studiosi di Oxford, Ian Goldin and Chris Kutarna, in un libro non ancora arrivato in Italia dal titolo “Age of discovery: navigating the risks and rewards of our new Renaissance”. Se si potesse scegliere di rinascere in qualunque momento possibile della Storia dell’umanità, sostengono, si dovrebbe scegliere la nostra epoca. Le motivazioni risiedono principalmente in una più alta aspettativa di vita, nelle migliori condizioni in cui si vive, nella più diffusa e rapida istruzione superiore a disposizione di un numero sempre più alto di ragazzi. Insomma, l’umanità nel suo insieme non è mai salita così in alto così in fretta.
“Con poche eccezioni tragiche, un bambino nato quasi ovunque oggi può aspettarsi di crescere più sano, più ricco e più intelligente che in qualsiasi altro momento della storia”, spiegano forse un po’ ottimisticamente Goldin e Kutarna. La facilità di viaggiare, di scambio delle merci e delle persone, di comunicazione mondiale grazie a internet che rende tutto più veloce, l’abbondante elaborazione delle informazioni, i progressi della medicina fanno il resto, creando “un habitat ideale per il fiorire delle idee”.
Effettivamente in ogni campo, dall’astronomia alla zoologia (per dire dalla A alla Z), la scoperta è il prodotto di uno sforzo globale che si compie su scala mondiale per 24 ore al giorno 364 giorni l’anno. Ma allora, se viviamo in un momento ricco di nuove possibilità, e non siamo mai stati meglio attrezzati per coglierle, perché molti di noi non si sentono parte di questo “migliore dei mondi possibili”? La risposta risiede nell’ovvia considerazione che se anche questo è il momento migliore per vivere, non è di sicuro il momento più facile per farlo. Il progresso nei vari campi di fatto è stato accompagnato da sconvolgimenti globali e da nuove vulnerabilità. Il primo e scontato settore in cui questo è avvenuto è quello determinato dall’economia: in un mercato globalizzato e privo di etica è cresciuto esponenzialmente il divario tra i vincitori (proprietari di capitale, imprenditori scaltri e individui le cui competenze, acume o la fortuna li aiutano a navigare questo groviglio) e perdenti: i pensionati e proprietari di immobili i cui risparmi sono stati distrutti dai rischi finanziari imprevisti; i lavoratori i cui posti di lavoro sono scomparsi; gli agricoltori le cui colture stanno fallendo a causa dei cambiamenti climatici; i cittadini dei paesi in cui una piccola élite si appropria dei benefici dell’integrazione globale in conti bancari off-shore.
“La speranza che la società potrebbe eventualmente condividere più ampiamente i benefici del progresso globale è destinata a diventare un’amara delusione per l’incapacità di farlo della società stessa” scrivono gli autori. E con la rapida diffusione di questa disillusione, rischia di andare in mille pezzi quel patto sociale da cui l’umanità stessa dipende. Elezione dopo elezione, fondati argomenti di discussione sui benefici di vivere e di agire insieme vengono sopraffatti da grida di rabbia di nazionalismo, protezionismo e xenofobia.
Eppure, ammoniscono gli studiosi, quanto accade ci dovrebbe scuotere ricordando che “la nostra nuova apertura e la connessione globale non possono essere date per scontate. Sono fenomeni sociali. Li abbiamo creati noi. E alcuni stanno facendo del loro meglio per la loro fine”. Non c’è solo Papa Francesco a incitarci a scrollarci dalla globalizzazione dell’indifferenza e dal non rinchiuderci in fortini in cui pensiamo sia conveniente non far entrare nessuno ma che in realtà contribuiscono solo a impoverirci. Anche gli esperti (laici) dello sviluppo ammoniscono a fare attenzione a come vogliamo definire il nostro tempo. E lo fanno con parole fortissime: “Se non siamo in grado di fermare questo marciume, si rischia di cadere ben al di sotto dell’abbondanza che improvvisi guadagni di benessere a livello mondiale rendono possibile. Peggio ancora, si rischia di inciampare all’indietro… Potremmo perdere i progressi di salute, ricchezza, istruzione e diritti umani che abbiamo già fatto a livello globale”. Ma abbiamo attraversato già un periodo come questo, ci dicono Goldin e Kutarna: era il Rinascimento. Un momento storico solo da un lato fiorente, ma con un’altra faccia della medaglia governata dal caos, dalla paura, dalle guerre religiose. Per questo è possibile prendere esempio e speranza dalla Storia: “Guardando attraverso una lente rinascimentale diventa sorprendentemente chiaro cosa fare – spiegano -. Capire che il cambiamento dirompente e le rivoluzioni tecnologiche possono diffondere il bene e il male. Elogiare la diversità e superare i pregiudizi. Abbracciare il cambiamento e rafforzare le reti di sicurezza pubblica”. E, infine, “strappare le mappe (mentali) che dividono le persone inutilmente”. Siamo pronti per costruire il nuovo umanesimo?