Fuga dagli asili nido: costano troppo per le famiglie in crisi. Ci va il 17% dei bambini

«Nel 1991 una grande inchiesta internazionale di “Newsweek” definì i nostri asili nido come “i più belli del mondo”. Lo sono ancora ma non dappertutto. È questo che ci caratterizza: una grande disparità territoriale». Cinzia Canali ricercatrice della “Fondazione Emanuela Zancan” Onlus, centro di studio, ricerca e sperimentazione di Padova, che opera da oltre cinquant’anni nell’ambito delle politiche sociali, sanitarie, educative, dei sistemi di welfare e dei servizi alla persona, chiarisce il motivo per il quale al Centro-Nord si assiste alla “grande fuga” dagli asili nido che appaiono in crisi. Infatti, le iscrizioni sono in calo in tutto il Paese, la stima nel periodo 2015-2016 è del – 6%. «Le iscrizioni sono in calo per diversi motivi. Ad esempio, la perdita di lavoro dei genitori comporta una minore capacità di copertura delle spese d’iscrizione e questo può portare al ritiro del bambino dal servizio. Inoltre, se la mamma rimane a casa perché senza lavoro, può scegliere di accudire al figlio direttamente anziché inserirlo al nido. A questo si può aggiungere – e ciò vale per le regioni con maggiore affluenza straniera – un certo numero di immigrati che lasciano il nostro Paese per rientrare in patria o per proseguire il percorso migratorio altrove. Va sottolineato che la mancata iscrizione dei bambini comporta una riduzione del personale e innesca nuove fragilità lavorative con il rischio di lasciare a casa altre donne, che di solito sono quelle maggiormente occupate in questi servizi» puntualizza Canali, componente del gruppo di studio “Tfiey-Italia”.
Secondo un recente dossier di Cittadinanzattiva “C’è un nido?” la retta mensile per un bimbo iscritto all’asilo nido comunale è di 311 euro. Un costo che incide del 12% sulla spesa sostenuta ogni mese da una famiglia media italiana e che varia, anche in modo consistente, a livello regionale e provinciale. Non è un po’ troppo?
«Si tratta, in effetti, di un costo piuttosto rilevante, anche alla luce delle crescenti difficoltà economiche delle famiglie. E si tratta di un valore medio, che può raggiungere punte decisamente più elevate (attorno ai 500 euro) in alcune città dell’Italia settentrionale. Inoltre, come lei ricorda, la cifra varia sensibilmente tra diverse regioni. Ma varia anche tra città della stessa regione: il dossier di Cittadinanzattiva indica ad esempio che fra le città capoluogo della Lombardia la retta di frequenza varia a parità di condizioni tra 232 euro (Milano) e 515 a (Lecco). Secondo i dati Istat, peraltro, la compartecipazione delle famiglie alla spesa totale per asili nido comunali è aumentata costantemente tra il 2008/2009 e il 2012/2013».
Com’è l’andamento delle iscrizioni negli asili nido in Lombardia?
«Considerando soltanto gli asili nido comunali, negli ultimi anni in Lombardia si è registrata una diminuzione della percentuale di bambini accolti, data dal rapporto tra quelli inseriti e i residenti di età tra zero e due anni. Dopo un aumento costante dal 2005 al 2010 (dall’11,7% al 15,4%), la percentuale dei bambini accolti è scesa nel 2011 (al 15,1%) e ancor più nel 2012 (fino al 14,7%)».
In Italia la media dei bambini iscritti è del 17%, lontano dall’obiettivo europeo del 33%. Qual è la situazione nel Vecchio Continente?
«Non è facile fare confronti con gli altri Paesi (che si differenziano dal nostro per diversi aspetti), ma i dati Ocse ci dicono ad esempio che la percentuale di bambini fino a tre anni di età accolti nei cosiddetti “servizi formali di cura” in Italia rimane inferiore rispetto a quella registrata nella maggior parte dei Paesi del Centro-Nord Europa, ma anche rispetto ad altri Paesi “mediterranei” come Spagna e Portogallo. Rimane quindi molta strada da fare, come abbiamo avuto modo di constatare nel progetto “Tfiey – Transatlantic Forum on Inclusive Early Years” coordinato a livello internazionale dalla Fondazione Re Baldovino del Belgio e a livello italiano dalla Compagnia di San Paolo in collaborazione con Fondazione Cariplo, Fondazione CON IL SUD, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e con la partnership scientifica di Fondazione Zancan ci ha permesso di allargare lo sguardo a ciò che succede negli altri paesi (www.tfieyitalia.org)».
Ci descrive il nuovo progetto di welfare per l’infanzia che riguarda il modello di nuovi asili nido “comunitari” che stanno per nascere anche in Italia, nei quali è coinvolta la Fondazione Zancan?
«Possiamo dire che le parole chiave sono “apertura” e “condivisione”, ovvero apertura comunitaria e coinvolgimento dei genitori anche nello svolgimento delle attività. Non sono temi nuovi ma vanno messi a sistema tenendoli lontano dalle forme di burocratizzazione che li irrigidiscono in formule di servizi, che non rispondono più ai tempi che corriamo: servono servizi che siano flessibili e rispondenti alle necessità dei genitori, devono essere accessibili e fruibili da tutti, devono prevedere un pieno coinvolgimento della comunità locale, devono prevedere un’offerta differenziata. In tale direzione vanno le esperienze del programma Zerosei della Compagnia di San Paolo nei comuni della cintura torinese e le sperimentazioni in corso nel Veneto con il finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Nei servizi veneti (due in provincia di Padova e uno in provincia di Rovigo) si sperimenta il concorso delle famiglie in ottica generativa, prevedendo di coinvolgere una parte dei genitori (o altri familiari) in attività dirette ad ampliare l’offerta educativa-formativa per i bambini e a personalizzare e curare gli ambienti interni ed esterni. In questo modo, tutte le famiglie corrisponderanno una quota della retta dovuta (piena o agevolata) “in servizi”, anziché “in denaro”. In due realtà si sperimenterà un fondo comune per l’accesso e la fruizione, finalizzato a coprire le minori entrate dovute alle agevolazioni sulle rette per le famiglie a basso reddito e alla compartecipazione in natura (per una quota del valore della retta) da parte di tutte le famiglie. L’obiettivo è generare valore, maggiore capacità di accoglienza, inclusione di ogni bambino – anche se povero – e soprattutto maggiore intensità educativa».