Giulia e Mirko fanno crescere i frutti dei Tropici nel Parco dei colli: «Così abbiamo realizzato un sogno»

Giulia Serafini e Mirko Roberti – «Frutti tropicali a Bergamo: un sogno e un’avventura». Tutto quello che sapevo di loro prima di incontrarli di persona, durante una chiacchierata per la prima volta, poi là dove sogno e avventura si uniscono e prendono forma, in via Bassani 3, all’interno del Parco dei Colli, nel Tropico dei Colli. Giulia e Mirko, da poco più di un anno, hanno aperto quest’azienda il cui nome ne definisce chiaramente l’obiettivo: coltivare frutta tropicale sui terreni della nostra città, specie tropicali che possano crescere senza difficoltà qui a Bergamo, perché originarie di zone collocate alla nostra stessa latitudine, frutti dai nomi sconosciuti, ma che siano buoni e utili per l’uomo, da mangiare soprattutto durante l’autunno e l’inverno, quando la varietà europea di frutta si riduce a causa del clima. Passeggiando per il campo Mirko, un tempo studente di ingegneria ambientale, ora appassionato agricoltore, mi mostra i tre cavalli di battagli grazie ai quali è nato questo progetto: asimina, kiwi arguta e feijoa. Accanto ai questi crescono anche mirtilli siberiani, topinambur, gelsi, mandorli, goji, cotogni orientali, melograni. Mirko mi spiega anche come è organizzato il campo: tra la parte a valle e quella a monte c’è una notevole variazione climatica, 5 o 6 gradi soprattutto durante l’inverno e questo permette la crescita di specie differenti. «L’idea è quella di provare a coltivare piante che ben si adattino al clima e al tipo di terreno, ma per ogni specie diverse varietà, così da studiarne le caratteristiche. In più vorremmo attuare una sperimentazione di specie su piccola scala, che possano poi essere coltivate in giardino, oltre che piante commestibili e utili, che possano attrarre gli hobbisti e, infine, per farci conoscere, almeno all’inizio, specie note che piacciono e che attirino le persone» aggiunge Mirko.
Quella per la frutta tropicale è una passione, da dove nasce?
M: «È una passione che è nata molti anni fa, non so esattamente quando, avrò avuto circa 6 anni quando mi sono appassionato di arte topiaria. Credo, però, che si trattasse di un interesse rivolto a quanto mi circondava, nato inconsciamente, di curiosità soprattutto nei confronti di piante utili».
G: «Sono cresciuta in una casa con un giardino ampio pressappoco come questo giardino, quindi ho avuto la fortuna, per purtroppo oggi tende a scemare, di sperimentare il contatto diretto con piante e animali».
Ma la passione non basta, servono anche delle conoscenze in ambito botanico, per scegliere le specie giuste e sapere come coltivarle..
M: «Il criterio che abbiamo scelto per queste specie si è basato sull’adattabilità delle piante al clima e sulla resistenza a patologie. Abbiamo scelto piante utili, il cui frutto sia facilmente riconoscibile e molto buono. Per iniziare un frutteto non si parte dai semi, ma da varietà di piante, cioè cloni di piante esistenti di cui ripetono gli stessi criteri selezionati. Se queste crescono bene, il gioco è fatto».
G: «Finito il liceo non sapevo a quale facoltà iscrivermi, ma avevo chiaro che avrei voluto studiare per poi fare qualcosa di utile e che portasse vantaggio e benessere agli altri. Ho scelto, quindi, agronomia. E la passione è cresciuta di pari passo con le conoscenze acquisite e con la voglia di applicarle. Ho unito, quindi, una passione sconfinata per le piante da frutto, con le conoscenze e con la disponibilità a fare fatica, ad incontrare altri agricoltori per capire come si potesse fare».
Hai sempre pensato o sognato di fare questo lavoro? È insolito, impegnativo, qualcuno potrebbe chiederti “ma chi te lo fa fare?”
M: «Mi è sempre piaciuto il contatto con la natura, ma mai avrei pensato che l’avrei fatto come lavoro. Anche quando si studia qualcosa che ha a che fare con la natura, non si è mai in contatto diretto, perché c’è la sempre la mediazione del computer. Quindi ho capito che non faceva per me. Ho scelto un lavoro fisico, perché il lavoro d’ufficio mi sembrava una prigione mentale, invece ora, anche se arrivo distrutto la sera, sono contento, soddisfatto nel vedere il cambiamento, felice soprattutto di lavorare con e per qualcosa, il frutto, che è l’unica cosa che nasce al mondo pronta per essere mangiata e che è strumento di seduzione visiva e gustativa a cui gli essere umani sono tanto sensibili».
G: «Da piccola sognavo di fare la cantante, quindi mai avrei pensato di diventare imprenditrice di un’azienda di frutta. Durante gli anni dell’università ho continuato a chiedermi come avrei potuto spendere quanto stavo apprendendo. Non mi vedevo come ricercatrice in laboratorio o impiegata in qualche grande azienda agricola. Sono una persona creativa, che difficilmente scende a patti o compromessi. E così, un per gioco forse, è nata l’idea di creare un’azienda mia. Il quesito a quel punto era: ma di cosa? E la risposta è sorta spontanea: frutta, per le sue proprietà irrazionalmente attrattive, oltre al fatto che il frutto nasce pronto per essere consumato e con questo lavoro si aiuta, perciò, la pianta a raggiungere il suo intento».
Le ultime parole di Giulia, prima di scattare un foto ai due protagonisti di questa sogno e avventura al contempo, sono state: «Anche se molti potrebbero chiedersi “ma chi te lo fa fare?”, da quando ho iniziato ho smesso di chiedermi se sono felice; ho trovato il mio quid, perché so che è questo e non potrebbe essere altro».