Parlami di soldi. Ha ancora senso il voto di povertà?

Immagine: “Parente di Giotto”, Sposalizio di San Francesco con la Povertà, 1316-1318 (particolare), Basilica inferiore di Assisi

Cara suor Chiara, parlami di soldi. Voi avete fatto il voto di povertà. Che senso ha quel voto, in un mondo, dove la povertà è solo una piaga? Giulia

CIÒ CHE DICE SAN FRANCESCO

Innanzitutto, cara Giulia, nella spiritualità francescana il voto di povertà è essenzialmente vivere “senza nulla di proprio”. Scrive, infatti, san Francesco nella sua regola: “La regola e vita dei frati (ndr. delle sorelle) è questa, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio, e seguire la dottrina e l’esempio del Signore nostro Gesù Cristo, il quale dice: ‘Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e poi vieni e seguimi’”.

A prima vista potrebbe sembrare semplicemente una cavillosa “questione di lana caprina” secondo il detto proverbiale, ma non è così. L’intuizione originale dei nostri fondatori, infatti, giunge ad abbracciare ogni ambito dell’essere e della vita.

ESSERE COME CRISTO

Vivere senza nulla di proprio, infatti, permette di accostare le realtà di questa terra, compresi i beni economici, per ciò che realmente sono: mezzi per una vita dignitosa, destinata da Dio a tutti gli uomini.

Il suo fondamento è cristologico e va pari passo con l’umiltà, con la minorità e con la carità: è, infatti, per amore e per imitazione di Cristo e della sua madre poverella che essi scelgono il “sine proprio”, abbracciando privazioni e umiliazioni di ogni genere. Scrive la nostra madre santa Chiara a sant’Agnese di Praga: “Guarda con attenzione la povertà di Colui che è posto in una mangiatoia e avvolto in poveri pannicelli. O mirabile umiltà, o povertà che dà stupore! Considera l’umiltà santa, la beata povertà, le fatiche e le pene senza numero che egli sostenne per la redenzione del genere umano.

Contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sull’albero della croce e su di esso morire della morte più vergognosa”(4° lett. 19-27).

O POVERTÀ BEATA, O POVERTÀ SANTA

E ancora: “O povertà beata! A chi t’ama e t’abbraccia procuri ricchezze eterne. O povertà santa! A quanti ti possiedono e desiderano, Dio promette il regno dei cieli, ed offre in modo infallibile eterna gloria e vita beata. O povertà pia! Te il Signore Gesù Cristo, in cui potere erano e sono il cielo e la terra, giacché bastò un cenno della sua parola e tutte le cose furono create, si degnò abbracciare a preferenza di ogni altra cosa. Disse egli, infatti: Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i nidi, ma il Figlio dell’uomo, cioè Cristo, non ha dove posare il capo; e quando lo reclinò sul suo petto, fu per rendere l’ultimo respiro. Se, dunque, tale e così grande Signore, scendendo nel seno della Vergine, volle apparire nel mondo come uomo spregevole, bisognoso e povero, affinché gli uomini – che erano poverissimi e indigenti, affamati per l’eccessiva penuria del nutrimento celeste –, divenissero in Lui ricchi col possesso dei reami celesti; esultate e godete molto, ripiena di enorme gaudio e di spirituale letizia” (1° lettera 15-21).

DIO, “COLUI CHE CI BASTA SEMPRE IN TUTTO”

La povertà che noi abbiamo scelto, quindi, non intende per nessun motivo aumentare il numero di coloro che vivono nell’indigenza e nella mendicità, vera piaga del nostro tempo, quanto piuttosto proclamare, nella nostra vita, il primato di Dio “nostra unica ricchezza a sufficienza, Colui che ci basta sempre in tutto” per condividere, per amore di Cristo, la vita degli ultimi e di coloro che non contano nulla agli occhi del mondo; e, mentre i primi sono costretti dalla vita a stare ai margini della società, noi lo scegliamo per vocazione, perché “il regno dei cieli il Signore lo promette e dona solo ai poveri” (ibid). La nostra vita, affidata alla provvidenza, si fa, allora, restituzione a Dio di ogni bene ricevuto dalle sue mani di Padre, condivisione con quei poveri che, sotto ogni aspetto, bussano alla porta del monastero affamati non solo di pane, ma di dignità, luce, comprensione, e, insieme, diviene silenziosa, ma efficace denuncia di ogni ingiustizia e di ogni forma di possesso sfrenato, che, nelle mani di pochi, toglie il necessario ai molti.

“SONO STATO AFFERRATO DA CRISTO”

Questo è l’ideale al quale, ogni sorella e ogni fratello della grande famiglia francescana tende con tutto il suo cuore e le sue forze e al quale cerca di conformare, mediante un cammino di conversione del cuore e di docilità allo Spirito, la sua esistenza.

L’istinto di possedere e di riporre la propria fiducia nei beni della terra appartiene, tuttavia, al cuore di tutti, perciò, con san Paolo, ogni sorella osa affermare: “Non ch’io abbia già ottenuto il premio o che sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il corso se mai io possa afferrare il premio; poiché anch’io sono stato afferrato da Cristo Gesù” (Fil. 3,12).