Chi è Gesù. Il gioco sottile e rischioso tra opinioni e fede

Foto: S. Pietro, statua del colonnato del Bernini, basilica di s. Pietro, Vaticano

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: “Le folle, chi dicono che io sia?”. Essi risposero: “Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto (Vedi Vangelo di Luca 9, 18-24. Per leggere i testi liturgici di domenica 19 giugno, XII del Tempo Ordinario, clicca qui)

LE OPINIONI DELLE FOLLE E LA FEDE DEI DISCEPOLI

Gesù, nel vangelo di Luca, prega spesso. Anche qui si trova in un luogo appartato e prega. È proprio mentre prega nel luogo desertico, pone ai suoi amici una domanda estemporanea: Le folle, chi dicono che io sia? E i discepoli riferiscono le opinioni correnti. Sono opinioni che si rifanno chiaramente alla fede popolare. Le risposte sono tutte inadeguate perché si limitano a collocare Gesù nel già-noto e non si aprono alla sconvolgente novità della sua persona, che va molto al di là del semplice ministero di uno dei profeti conosciuti.

La novità Gesù la sollecita dai suoi amici. Ma voi chi dite che io sia?, chiede. E Pietro risponde per tutti. “Cristo”, come sappiamo, significa “Unto”. L’unzione era un rito con cui si designavano dei personaggi scelti da Dio per delle particolarissime missioni: re, profeti… L’Unto per eccellenza era il personaggio definitivo che Dio avrebbe scelto, il Messia. Pietro, dunque, ha risposto esattamente. Così egli realizza la profezia che Gesù aveva enunciato poco prima: A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano e udendo non intendano (Lc 8, 10).

Pietro ha risposto bene. Ma il mistero di Gesù non è solo quello che ha detto Pietro. E’ anche il mistero della sofferenza. Il Messia non è la figura trionfante della fede popolare. Non solo, ma essere suoi discepoli, vuol dire essere come lui, andargli dietro, portare la croce dietro a lui. Anche il discepolo deve percorrere, come il Maestro, la sua via crucis.

IL RISCHIO DI RIDURRE ANCHE LA FEDE A UNA OPINIONE

Una prima suggestione viene proprio dalla “struttura” del brano. Per conoscere Gesù, noi possiamo, dobbiamo, forse, avere delle nostre opinioni, e usare delle opinioni degli altri, poi dobbiamo fare appello alla nostra fede; ma chi è Lui, è Lui stesso che ce lo dice. Ciò a conferma della assoluta novità che per noi rappresenta la “rivelazione” di Gesù. È per questo, proprio perché è una verità che viene dal cielo e che noi non potremmo mai scoprire da soli che, all’inizio, Gesù si trova in preghiera.

Il grave difetto dei credenti di oggi sta nel fatto che spesso ci limitiamo, anche noi, a dire le opinioni. Anche per noi Gesù è un grande uomo, lo ammiriamo… Ma non siamo capaci di abbandonarci totalmente a lui. Così nel mondo c’è un’opinione in più su Gesù, ma non c’è l’assicurazione che in lui si trovano le risposte decisive alle opinioni che vanno cercando la sua verità.

Dunque per essere amici di Gesù, bisogna uscire dal gruppo e dire di lui qualcosa di nuovo e di diverso. Per questo bisogna prendere le distanze dalle opinioni correnti. Bisogna non “pensare qualcosa di lui”, ma credergli, avere fede. Il cristiano deve essere capace di apparire strano, di apparire perfino un illuso, un pazzo. È capitato al Maestro, può capitare anche al discepolo.