Le donne dei 5 Stelle e la nuova politica

Foto: la neo-eletta sindaco di Torino, Chiara Appendino

Donne. Giovani. Sconosciute. È questo l’identikit del politico di successo 2016? Il genere femminile, in un’Italia tradizionalmente a trazione maschilista, inteso in quanto auspicio d’attendibilità dopo decenni di promesse non mantenute. L’età, a garanzia di una generazione arrabbiatissima con padri e zii, rei spesso confessi di aver pensato solo a se stessi. La novità, realizzata come la prova regina delle mani pulite, se non ancora di un’onestà da sperimentare.

DONNE, GIOVANI, SCONOSCIUTE

Sarà una pura combinazione, ma Virginia Raggi e Chiara Appendino possiedono tutti e tre questi requisiti. E i ballottaggi li hanno stravinti, Raggi a Roma, non a Frascati, Appendino a Torino, non ad Acqui Terme. Contro i migliori avversari possibili, del Pd. Oltre che doppiato Giachetti, uno dei pochi nella Capitale senza cadaveri nell’armadio. Staccato di dieci punti Fassino, quarant’anni d’onorata politica, una merce rara. Voto di protesta o voto di cambiamento, questa distinzione pare vana come l’individuazione del sesso degli angeli. La sconfitta è tutta di Renzi, la cui ricetta per contrastare la crisi economica non sta piacendo più – dopo la solita luna di miele che nel Bel Paese è più illusoria che altrove – agl’italiani non solo degli altri partiti.

VIRGINIA RAGGI E ROMA

Le due ragazze come se la caveranno? Diversissime le situazioni, non solo dal punto di vista ambientale.

Le difficoltà di gestire Roma, un territorio immenso che s’approssima ai cinque milioni d’abitanti, sono doppie, triple, decuple, rispetto a Torino. Ma l’avvocatessa grillina – strafavorita da tempo da un pronostico granitico – conquista il Campidoglio dopo adeguata preparazione, con una squadra che conta sul campione locale Alessandro Di Battista e su una struttura obiettivamente ormai collaudata. L’impresa resta ardua, a dir poco, in quanto la burocrazia, con i suoi capi di gabinetto intrasferibili, è stata sempre più forte di qualsiasi ministro, altro che assessore. Però una base per provarci potrebbe esserci.

CHIARA APPENDINO E TORINO

A Torino i trasporti urbani funzionano e la monnezza trasteverina non sta per strada, questo è vero. Tuttavia il successo della longilinea trentaduenne bocconiana sembra ben più inatteso e perciò improvvisato. E anche le prime dichiarazioni della neosindaca denoterebbero a prima vista, insieme a una forte determinazione, qualche maggiore impaccio rispetto alla collega. Senza contare che pesa un’altra incertezza, e cioè se i 5 Stelle, come movimento, sapranno fornirle lo stesso supporto.

Paradossalmente, dunque, rischia forse di più Appendino di Raggi, pure in base alle esperienze di Pizzarotti e Nogarin a Parma e a Livorno. In bocca al lupo e vedremo, ma, guardando avanti, viene un dubbio. In una città come Bergamo, con Gori sindaco renziano, che succederebbe alle prossime elezioni, se i grillini – a meno che nel frattempo non sia mutato il vento – trovassero una candidata giovane e sconosciuta (nuova di pacca)? Provocazione con la quale si torna al punto di partenza.

PARISI E LA DESTRA

I ballottaggi hanno detto anche altro, sul piano strettamente politico. Poco originale osservare che la destra ha aiutato i grillini ma che i grillini non hanno aiutato la destra, nonostante il desiderio di entrambe le formazioni d’indebolire Renzi, resta in primo piano, a dispetto della sconfitta elettorale milanese, la figura di Stefano Parisi. Vuoi vedere che il centrodestra – impegnato nel tormentone che presentandosi uniti si vince ma stare insieme non si può – ha finalmente trovato una proposta credibile?

Al di là della rimonta incompiuta, il manager individuato da Berlusconi (diamo a Cesare ciò che è di Cesare) ha esibito una personalità di buon livello. Tale prerogativa lo distingue fortemente dai vari forzitalioti del cerchio magico (uno per tutti, Brunetta), ma anche da colonnelli e colonnelle di Fratelli d’Italia o ex An che dir si voglia e a maggior ragione da Bossi prima e Salvini poi passando per Maroni (complimenti, governatore, per il flop di Varese). Ora si dice che Parisi sia pronto per scendere in campo a livello nazionale. Che sarebbe una buona notizia resta da verificare, tuttavia di un vero leader da quella parte dello schieramento – frange populiste escluse – si sente da tempo un gran bisogno. Per la verità, finché le Gelmini di turno continueranno a sostenere che il grande capo è stato, è e sarà fino a chissà quando l’ottantenne Silvio, appunto, pur in fisioterapia dopo un’operazione a cuore aperto, le speranze si riducono forse a pie illusioni. Però se il re, d’imperio, affidasse lo scettro a qualcuno in gamba, non sarebbe male per il tripolare Paese. Che fatalmente va giù, se gli manca una gamba.