Come formare i preti. Parere disinteressato di un laico molto interessato

Foto: seminario di Bergamo, “Aula Magna” di teologia

SCUOLA, PARTITI, CHIESA SONO IN CRISI. PERCHÉ

È un dato di fatto che le istituzioni educative attraversano una crisi profonda. “La causa materiale” – per dirla con Aristotele – è la stessa per tutti: la rottura della staffetta, che da sempre le generazioni corrono lungo la pista del tempo storico che è loro dato. La catena pedagogica si è allentata o spezzata, sotto l’onda dei cambiamenti antropologici, che si possono denominare genericamente “globalizzazione”. Le istituzioni educative di cui parlo qui sono la scuola, i partiti, la Chiesa… La loro crisi ha due conseguenze: la perdita dei legami con i potenziali destinatari dell’azione educativa; la difficoltà di costruire la classe dirigente interna, cioè gli insegnanti, i dirigenti, i preti… In queste condizioni, le istituzioni fanno fatica a durare nel tempo, le giovani generazioni soffrono la solitudine educativa, quelle adulte sperimentano l’impotenza educativa. La caduta educativa lacera il tessuto della società civile, ne pregiudica la qualità etica, spezza i legami, apre la strada ai conflitti interindividuali e collettivi. Lo scontento diffuso che ci avvolge è solo uno degli effetti di quella caduta.

QUELLO CHE (NON) FANNO LA POLITICA E I PARTITI

Ciascuna delle istituzioni sopra citate ha reagito in maniera diversa in questi anni. La politica ha tentato negli ultimi vent’anni di riformare il sistema educativo nazionale, ma non è ancora riuscita a cambiare i meccanismi della formazione/selezione del personale insegnante e dirigente. Sono rimasti quelli di Giovanni Gentile, quasi un secolo fa. Quanto ai partiti, sono probabilmente nella condizione peggiore. Essendo saltate le culture politiche fondative, si affidano ai legami di potere con lo Stato e ai meccanismi del Web per costruire la classe dirigente. Non solo il M5S, ma anche Bersani ha fatto ricorso alla Rete per selezionare i candidati alle elezioni politiche nel 2013. Ciò che viene chiamato populismo è solo l’altra faccia dello svuotamento culturale dei partiti, ormai incapaci di costruire una classe dirigente.

LA CHIESA E LA TENTAZIONE DI CHIUDERSI

Quanto alla Chiesa, pare che i seminari continuino ad essere il luogo tradizionale privilegiato di formazione del clero. Tuttavia, sono sempre più vuoti, i fallimenti più frequenti. Poiché le parrocchie sono a tutt’oggi un luogo essenziale di tenuta connettiva della società civile, tanto nelle città quanto nell’Italia dei mille e mille piccoli campanili, il deficit di classe dirigente ecclesiale  è un’altra cattiva notizia per la società italiana. Le reazioni culturali delle istituzioni minacciate dal mondo “là fuori” hanno dei tratti comuni. Il primo e più istintivo è la chiusura su di sé, l’autoprotezione conservatrice. E’ la reazione tradizionalista/fondamentalista. Se l’istituzione non regge le sfide, ciò significa che essa ha tradito le proprie origini, i propri fondamenti. Ad essi bisogna tornare. Ciò che viene messo sotto accusa non è l’incapacità di cambiare, bensì, all’opposto, i tentativi di cambiare. L’innovazione è dolorosa, modificare i paradigmi è faticoso, le rotture epistemologiche sono traumatiche. In questi passaggi le istituzioni entrano in una zona di rischio, di divisione interna e di conseguente paralisi. Ogni istituzione conosce una minoranza fondamentalista e una maggioranza pragmatica, che va avanti a tentoni.

IL GRANDE SEMINARIO TRADIZIONALE E LA BOTTEGA ARTIGIANALE

Da che parte incominciare per formare una classe dirigente nuova? Probabilmente il modello educativo millenario va ripensato. Alla base tanto della scuola, quanto della Chiesa, quanto dei partiti di tradizione comunista, sta un modulo fortemente cognitivistico. Se l’istituzione scolastica, partitica, ecclesiastica è “mater et magistra”, allora deve formare dei “maestri”, siano essi docenti, funzionari di partito o preti. Questo modello ha alle spalle una separatezza millenaria tra otium e negotium, tra Artes liberales – divise nel Trivio delle Artes sermocinales (grammatica, retorica, dialettica) e nel Quadrivio delle Artes reales  (aritmetica, geometria, astronomia, musica) – e Artes mechanicae (vestiaria, agricultura, architectura, militia and venatoria, mercatura, coquinaria, metallaria, almeno secondo la versione di Scoto Eriugena). La Ratio studiorum ha codificato quel modello, che è passato nei sistemi formativi moderni, ovviamente laicizzato e modificato quanto ai contenuti cognitivi. Il modello è andato in crisi, perché le fonti del sapere sono diventate accessibili a tutti – non esistono più “i santuari del sapere” – e perché è emerso con grande potenza il principio moderno di libertà/liberazione e di personalizzazione. Tra le tante profezie irrealizzabili di Marx quella sull’avvento di una “coscienza enorme” si è, viceversa, compiuta in questi ultimi decenni. “La coscienza enorme” sottopone le istituzioni ad uno stress straordinario e le pone perentoriamente sul bivio tra cambiamento e irrilevanza. La scuola, il partito, la Chiesa possono solo accompagnare “la coscienza enorme” sul campo dell’esperienza personale reale.

Formare docenti, dirigenti politici, preti… vuol dire, oggi, intrecciare formazione teorica, testimonianza sul campo, personalizzazione e accompagnamento dei percorsi. Forse quello della bottega artigianale è il modello più fecondo, oggi. Nella scuola si chiama “campus educativo”. Nel partito si chiama “form/azione”. Nella Chiesa? Non saprei! Certamente, non è più il seminario tradizionale.  Forse un ospedale da campo?