Il buon samaritano. Non basta amare, bisogna fare i gesti dell’amore

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai” (Vedi Vangelo di Luca 10, 25-37. Per leggere i testi liturgici di domenica 10 luglio, quindicesima del Tempo Ordinario, clicca qui)

ALL’INIZIO, UNA DOMANDA

Tutto inizia da una domanda: Che cosa devo fare per avere la vita eterna? Cioè: che cosa è necessario per entrare nel Regno, quel Regno che Gesù sta annunciando presente in mezzo agli uomini? Due caratteristiche di questa domanda: è fatta per mettere alla prova Gesù: se Gesù non rimanda alla legge non è un inviato da Dio. Inoltre è una questione teorica: è l’avvio di una disputa.

IL PROSSIMO NON È SOLO IL VICINO

La risposta di Gesù rimanda a una concezione, condivisa da molti ebrei contemporanei di Gesù i quali ritenevano che l’amore a Dio e al prossimo era il cuore della legge. Da notare qui l’unione dei due oggetti dell’amore, Dio e il prossimo, sotto un unico verbo, come se si trattasse, in realtà, di un unico amore. E questo amore è segnato dalla totalità del dono: cuore, anima, forza, mente. Il prossimo, però, per la tradizione ebraica, era semplicemente chi faceva parte del popolo ebraico. La domanda ulteriore dell’interlocutore di Gesù per sapere chi è il prossimo denota, forse, qualche dubbio su questa visione tradizionale o forse vuole semplicemente continuare la “messa alla prova” di Gesù.

LA RISPOSTA: IL RACCONTO DEL BUON SAMARITANO

Per rispondere all’ulteriore domanda del suo interlocutore, Gesù racconta la parabola del buon samaritano. Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, inizia la parabola. Gerusalemme si trova a 600 metri sul mare e Gerico a meno 450, nella profonda depressione del Mar Morto. Il sentiero era scosceso e isolato e gli attentati contro i viaggiatori erano frequenti. Il malcapitato giace dunque ai bordi della strada. Passano un sacerdote e un levita.  Forse ritenevano che il malcapitato era morto e quindi non volevano contaminarsi. La legge ebraica, infatti, prevedeva un’impurità derivante dal contatto con un cadavere. Quindi i due non avrebbero potuto partecipare alle liturgie del tempio. Per questo non prestano nessun soccorso. Alla fine passa un samaritano. Il samaritano è un abitante della Samaria. E’ evidente il senso “polemico” della scelta che Gesù fa di questo particolare protagonista della parabola. Il Samaritano, dunque, è un eretico che conosce le disposizioni fondamentali della legge (anche i Samaritani, infatti, riconoscono i primi libri della bibbia, dove si trovano le disposizioni seguite dal sacerdote e dal levita), che osserva altre leggi e segue altri riti che non sono in sintonia con quelli dell’ebraismo ufficiale. Insieme, però, è capace di fare ciò che il sacerdote e il levita non hanno fatto: non separare la legge dalla carità. Da notare la cura “pignola” del malcapitato. La carità ha la stessa accuratezza che avrà Gesù stesso quando laverà i piedi ai suoi discepoli…

La conclusione è una domanda di Gesù. Lo scriba aveva chiesto chi era l’oggetto dell’amore, la domanda di Gesù riguarda, invece, il soggetto. Non che cosa o chi amare, ma chi deve esercitare l’amore. Si capisce anche che la battuta finale di Gesù riguardi la necessità di fare come il samaritano, cioè di amare disinteressatamente e senza barriere ogni uomo.

L’AMORE E I SUOI GESTI

La parabola ci racconta non solo l’amore, ma anche i gesti dell’amore. Il samaritano non si limita a prendersi cura genericamente del malcapitato ma usa le sue mani, il suo giumento, i suoi soldi. L’amore, infatti, è veramente tale se fa i gesti dell’amore. L’amore vuole i gesti e i gesti danno carne all’amore. Quante volte ci capita invece di vivere un amore diviso: si fanno i gesti senza avere l’amore o si ha l’amore senza fare i gesti. Tutto questo è facile in una società dove le relazioni tendono ad allungarsi sempre di più e dove i vicini tendono a diventare lontani e i lontani restano lontani anche quando si sono avvicinati a noi. Pensiamo alla nostra enorme difficoltà a amare extracomunitari di ogni provenienza e di ogni religione.

A questo proposito proviamo a immaginare il buon samaritano mentre cura le ferite, asciuga il sangue, pulisce il poveraccio malmenato dai ladri, mentre se lo carica, con fatica, sul suo giumento… Domandiamoci: dobbiamo pensare che si sia divertito, che gli sia piaciuto fare tutto quello che ha fatto? Non lo ha fatto perché si è divertito, ma perché si è lasciato “prendere” dal fratello e dalla sua sofferenza. L’amore gli ha fatto fare tutto. Solo l’amore.

LA LOCANDA

Dobbiamo anche ricordare, a questo proposito, che “locanda” dove il samaritano porta il malcapitato, in greco si dice pandokeion. Che significa: il luogo che accoglie tutti. Che mirabile immagine della Chiesa: la Chiesa come una locanda, il luogo aperto dove tutti possono entrare. La caratteristica di quel luogo è quello di non escludere nessuno. L’amore cristiano,  infatti, si caratterizza proprio per questo: non esclude nessuno, neppure quelli che ci sono nemici.