“Abbasso il Portogallo”. Dialogo estemporaneo circa la disunione nella Chiesa

IN CURIA ALLA RICERCA DI CALORE

Quand’ero giovane prete, il mio parroco era fisicamente allergico all’aria della Curia e quindi, pensando che io fossi più immune dagli allergeni, incaricò me di occuparmi delle varie pratiche da espletare nel sacro palazzo, e io, da bravo prete novello, obbedivo ogni volta immancabilmente.

Fu così che conobbi un anziano sacerdote addetto al servizio liturgico della cattedrale.

Non c’era giorno che chi varcava la fatidica soglia della “Veneranda” non lo incontrasse mentre passeggiava per i corridoi. Aveva la sua da dire a tutti e chi non aveva fretta si fermava volentieri anche a fare quattro chiacchiere con lui. Un giorno, lasciai da parte la mia timidezza di prete appena uscito dal nido del seminario e mi fermai anch’io a conversare con lui.

Tra una chiacchiera, una confidenza e una battuta, scoprii la segreta ragione del suo quotidiano gironzolare per gli ambulacri episcopali. Non era per una sua particolare devozione allo stare ogni giorno lì “sub umbra episcopi”; men che meno perché avesse pratiche frequenti da sbrigare. Non era per curiosità, né per amore del pettegolezzo, perché, anzi, nonostante il suo stare quasi in pianta stabile nel luogo del cicaleccio istituzionalizzato, il buon vecchietto da questo punto di vista non eccedeva affatto. No. Era solo per risparmiare il gas di casa sua, sfruttando nelle ore di apertura il riscaldamento del “cuore della diocesi”.

SI PARLA DI PARROCCHIE AL FREDDO E AL GELO

Il simpatico presbitero in cerca di calore mi tornò in mente in una fredda giornata dello scorso inverno. Il clero orobico era convocato per l’ennesimo dibattito sulla parrocchia. Io, come di solito, arrivai in ritardo, entrai ansimando nel salone e, in punta di piedi, per non disturbare, presi posto appena dentro la porta. E lì trovai seduto l’amico parroco di Belsito anche lui in ritardo e anche lui infreddolito, ma tutto intento ad ascoltare con attenzione la conferenza.

Il tema, come ho detto, era, con scarsa originalità, la parrocchia in questo tempo che cambia. L’oratore, tra le altre cose, si dilungò ad elencare e a descrivere i diversi tipi di parrocchia presenti sul mercato: la parrocchia centro di servizi; la parrocchia supermercato del sacro; la parrocchia isola; la parrocchia arcipelago; la parrocchia famiglia di famiglie e chi più ne ha più ne metta.

Il parroco di Belsito, che è pastoralmente molto impegnato, seguì con attenzione non solo la conferenza, ma anche il dibattito che ne scaturì e dal quale si capiva molto bene la non eccelsa qualità dei rapporti esistenti tra i preti e anche tra le varie parrocchie della diocesi.

VIVA LE UNITÀ PASTORALI E ABBASSO LE “PARROCCHIE – PORTOGALLO”

All’uscita, l’amico commentò con me: “Non è che abbia capito tutto. Una cosa però mi è sembrata evidente: che la nostra organizzazione è come un portogallo”. Scoppiai a ridere per il suggestivo paragone e per l’uso estemporaneo dell’ormai dimenticato vocabolo dialettale. Da noi il portogallo, si sa, non è solo lo stato con capitale Lisbona, ma è anche l’arancia, di qualsiasi provenienza.

“Perché mai?”, gli chiesi, pur avendo capito al volo. “Perché, sembriamo uniti e compatti, ma ognuno, ogni parrocchia, nonostante i giusti e generosi tentativi di introduzione delle unità pastorali, sta per conto suo, come le gandaie (gli spicchi) del portogallo”.

Un prete che ci passava vicino, sentendo nominare il portogallo, ci buttò lì un “Buono il portogallo!”. “Sì, ma non quello della marca di cui stiamo parlando noi”. “Cambiate marca, allora!” insistette lui andandosene di fretta. “Magari!” sospirammo insieme noi due.

Ma forse… è proprio quello che ci vuole.