Richard Gere nei panni di un homeless. In viaggio tra gli “Invisibili” del mondo

«Chi diavolo sei?». Nel film “Gli invisibili”, pellicola indipendente del 2014 scritta e diretta dal regista israeliano Oren Moverman ora nelle arene delle maggiori località di vacanze italiane, George, uno straordinario Richard Gere è un homeless, un barbone la cui casa sono le strade di New York City.
È inverno, fa freddo, George, munito di una logora sciarpa e di un giaccone che ha visto tempi migliori, non sa dove trovare riparo, non solo dal tempo inclemente ma dal gelo che ha nel cuore. Il senzatetto ha una figlia, Maggie, che non vede da anni. Se è vero che «di solito sono i genitori che si prendono cura dei figli», George ha abbandonato la propria a 12 anni, lasciandola nelle mani della nonna materna. Quest’uomo disperato che non ammette neanche con se stesso la propria condizione di clochard e non sa dove andare ma vaga alla deriva nella Grande Mela, riuscirà a comprendere la propria situazione quando cercherà rifugio al Bellevue Hospital. Solo qui, nel maggior centro di accoglienza per senzatetto di Manhattan che ospita persone sole che vivono nella miseria, «non gliene importa nulla alla società, perché dovrebbe?», George facendo amicizia con un veterano del centro, comincerà passo dopo passo a riacquistare quella speranza necessaria per ricostruire la propria esistenza.
Le riprese del film “Gli Invisibili”, prodotto dalla Cold Iron Pictures e distribuito in Italia dalla Lucky Red, il cui titolo originale è “Time Out of Mind”, sono state realizzate nel marzo del 2014 e durate solo venti giorni. Tanto è bastato al regista per restituire allo spettatore quel senso di straniamento, solitudine e smarrimento delle giornate di «uno stupido, sfigato, idiota», costretto a peregrinare tra ospizi per senzatetto e ospedali. È dunque questa la fine che ha fatto il mitico Julian Kay/Richard Gere, l’”American Gigolò” (1980), il quale negli edonisti reaganiani anni Ottanta, di fronte al suo armadio sceglieva con cura gli abiti pescando nella sua collezione firmata Armani? Una cosa è certa, negli ultimi 10-15 anni il sogno americano ha iniziato a mostrare le prime crepe, concretizzate nella crisi economica attuale.
Richard Gere, 66 anni il prossimo 31 agosto, si dimostra bravissimo nei panni del protagonista, emblema degli “ultimi” del Pianeta, la cui unica arma di difesa è il silenzio che fa da sorprendente contrasto al vocio incessante degli abitanti della città che non dorme mai. Questa storia di una drammatica vita di strada, emozionanti sono gli sguardi di George che esprimono più di mille parole, è resa credibile dal fatto che quasi tutto è stato ripreso grazie a telecamere nascoste poste a distanza. «Nessuno mi ha riconosciuto, nessuno ha osato avvicinarmi. Ho girato in luoghi, come Il Greenwich Village e Grand Central Station, in cui come Richard Gere non potrei mai passeggiare tranquillamente. Per il film ha funzionato a meraviglia, per me è stata un’esperienza molto forte», ha dichiarato in una recente intervista l’ex sex symbol degli anni Ottanta/Novanta presentando fuori concorso il film-reality al 61esimo Taormina Film Fest.
In precedenza “Gli invisibili” era stato presentato a Roma di fronte a centinaia di senzatetto presso la mensa della Comunità di Sant’Egidio a Trastevere. «È travolgente – ha confessato l’attore – vedere queste belle facce di fratelli e sorelle. Una cosa che mi scalda il cuore. Solo le persone curano le persone. Non i soldi e la politica, ma solo le persone che comunicano tra di loro. Sono onorato di essere qui. Una pellicola di stringente attualità se si fa riferimento agli ultimi dati Istat che registrano che in Italia sono in uno stato di povertà assoluta oltre 4,5 milioni di persone, il massimo dal 2005».
In aumento al Nord, in particolare per gli stranieri, la povertà colpisce le famiglie numerose, chi vive in città, molti più giovani accanto agli anziani. Individui e nuclei familiari che, per l’Istat, hanno difficoltà a “conseguire uno standard di vita minimamente accettabile” e “non accedono a beni e servizi che, nel contesto italiano, vengono considerati essenziali”. Persone le quali rischiano in un prossimo futuro di dire come George: «Noi siamo invisibili».