In dieci anni ci siamo impoveriti. Nove italiani su dieci stanno peggio dei propri genitori

Il cuore dell’ultimo Rapporto McKinsey (McKinsey Global Institute) dal titolo “Poorer than their parents? A new perspective on income inequality” (“Più poveri dei genitori? Una nuova prospettiva sulla disparità dei redditi”) evidenzia come nell’Occidente sviluppato, l’impoverimento sia generalizzato e si accompagni all’inversione delle aspettative.

«I lavoratori giovani e quelli meno istruiti sono colpiti più duramente. Rischiano di finire la loro vita più poveri dei loro padri e delle loro madri».

La nota multinazionale statunitense di consulenza di direzione ha preso in esame il periodo dal 2005 al 2014, cioè quello che include la grande e lunga crisi finanziaria ed economica scoppiata nel 2008 generando a macchia di leopardo uno shock generazionale nei Paesi occidentali. A causa di questo trauma e di questo impoverimento generalizzato una quota crescente della popolazione non crede più ai benefici dell’economia di mercato, della globalizzazione, del libero scambio. Ecco spiegato, chiarisce il Rapporto McKinsey, quel disagio sociale che alimenta populismi di ogni colore, dall’effetto Brexit in Gran Bretagna al fenomeno Donald Trump negli States.

Lo studio della multinazionale USA McKinsey ha preso in esame le venticinque economie più floride del mondo, l’Occidente più il Giappone. In quest’area composta da una società fino ad allora consumistica, il cataclisma si è compiuto nella decade compresa fra il 2005 e il 2014, la causa è sì la crisi economica del 2008 ma il trend negativo era cominciato prima. Fra il 65% e il 70% della popolazione si ritrova al termine del decennio con redditi fermi o addirittura in calo rispetto al punto di partenza. Il dramma coinvolge tra 540 e 580 milioni di persone, non era mai accaduto niente di paragonabile nei sessant’anni precedenti, cioè dalla fine della II Guerra Mondiale. Tra il 1993 e il 2005, per esempio, solo una piccolissima frazione della popolazione (il 2%) aveva subito un arretramento nelle condizioni di vita. Ora l’impoverimento è un tema che riguarda la maggioranza. Purtroppo il nostro Paese si distingue per il primato negativo.

L’Italia è in assoluto il paese più colpito: il 97% delle famiglie italiane al termine di questi dieci anni è ferma al punto di partenza o si ritrova con un reddito diminuito. Al secondo posto arrivano gli Stati Uniti, dove stagnazione o arretramento colpiscono l’81%, seguono Inghilterra e Francia. Sta meglio la Svezia, dove solo una minoranza del 20% soffre di questa malattia. Il motivo? La risposta è nell’intervento pubblico, infatti le politiche economiche dei governi e gli interventi sul mercato del lavoro hanno saputo contrastare il trend generale. «Lo Stato in Svezia si è mosso per mantenere i posti di lavoro, e così per la maggioranza della popolazione alla fine del decennio i redditi disponibili erano cresciuti per quasi tutti», recita lo studio che indica i rimedi possibili per uscire dal guado. Se gli Stati Uniti per contrastare le tendenze di mercato hanno ridotto la pressione fiscale sulle famiglie aumentando i sussidi di welfare, in Italia, guardando ai risultati di questa indagine, non c’è traccia di politiche sociali che riducano le diseguaglianze o compensino la crisi del reddito familiare. Un dramma nel dramma riguarda la popolazione più giovane del Pianeta, che sta peggio dei propri genitori, ben 9 italiani su 10, una generazione senza prospettive per il futuro.

A circa trent’anni appare un sogno economicamente irraggiungibile avere un lavoro sicuro e una casa di proprietà, come accadeva ai nostri genitori. Mancano le sicurezze più basilari, occorre immaginazione e umiltà per inventarsi un lavoro. Ecco spiegato il motivo principale per il quale i millennials non abbandonano il “nido”, secondo i dati Eurostat 2014, il 65,8% è la quota di italiani tra i 18 e i 34 anni che vive con i genitori, contro una media del 48,4% nell’Europa delle 28 Nazioni.