Bibbia e olimpiadi

Foto: Rio 2016. La vittoria di Bolt sui 100 metri

LO SPORT SECONDO SAN PAOLO

Lo sport agonistico (il gareggiare per vincere) è da sempre un’importante componente della vita sociale. È quindi del tutto comprensibile che la Parola di Dio non trascuri di parlarne.
Il passo più ampio e più dettagliato nel Nuovo Testamento è senz’altro 1Cor 9,24-26: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato”.
A questo va subito aggiunto 2Tm 2,5: “Se uno lotta come atleta non è coronato, se non ha lottato secondo le regole”.
In questi passi c’è tutto: lo stadio, la gara, il premio (coppa, scudetto, medaglia…), i duri allenamenti, una sana e corretta alimentazione, le regole del gioco e il rischio di squalifica.

LA VITA CRISTIANA È COME UNA GARA SPORTIVA, MA…

Attenzione: S. Paolo non vuol dare consigli agli atleti e agli organizzatori delle Olimpiadi. No. Egli parla della vita cristiana e mostra alcune somiglianze con la pratica sportiva e le utilizza per portare avanti il suo discorso di fede. Ad es., l’ascetica cristiana ha molto a che vedere con gli allenamenti sportivi. Perciò egli spiega così la severità con cui tratta il proprio corpo: “Tratto duramente il mio corpo perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato“. E ai Corinzi fa notare che gli atleti sono temperanti in tutto, ma lo fanno per una corona corruttibile; i cristiani invece si impegnano per una corona che non marcisce.
Inoltre, mentre nelle gare sportive il vincitore è unico, in quelle spirituali tutti i concorrenti possono vincere e ottenere il premio. Ciò porta l’Apostolo a concludere che “l’esercizio corporale (degli allenamenti) è utile a poca cosa, mentre la pietà è utile ad ogni cosa” (1 Tm 4,8).
È così che alla fine della sua vita l’Apostolo può dire con serenità: “Ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno” (2Tm 4,6s).

GESÚ VA ANCHE OLTRE

Le Olimpiadi sono il trionfo della bellezza e della forza del corpo umano. Gesù non ne ha rabbia, come qualcuno pensa; anzi, non può che esserne felice: egli sa che il Padre, nella creazione, al termine di ogni giorno, guardava la sua opera e constatava che era cosa buona, e al termine della creazione dell’uomo (maschio e femmina) guardò e affermò che era cosa molto buona (Gen 1).
Ma Gesù, che è stato mandato per salvare l’uomo che aveva deragliato e andava alla deriva, dice ad ogni persona: “Guarda che, se le tue mani, i tuoi piedi, o i tuoi occhi ti sono d’inciampo, è meglio per te entrare in paradiso monco, o zoppo, o con un occhio solo piuttosto che nel fuoco inestinguibile con due belle mani, due bei piedi o due occhi splendidi” (cfr. Mt 18,8-9).
Per Gesù inoltre, mentre nello sport ovviamente vince la medaglia il primo in classifica, nel campo della grazia è tutto diverso, tutta un’altra logica, addirittura opposta. Lo insegna bene la parabola degli operai delle diverse ore, che al termine della giornata vengon pagati a cominciare da chi ha lavorato un’ora sola e a tutti viene dato lo stesso salario che era stato pattuito con i primi. A chi protesta per l’ “ingiustizia” Gesù fa presente che la logica di Dio che chiama a lavorare nella sua vigna è la misericordia: a tutti viene dato il giusto, ma nella sua bontà il Signore guarda poi al bisogno di ognuno, per cui può succedere che “gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi” (Mt 20,1-16).
Papa Francesco, in linea con S. Paolo e soprattutto con Gesù di cui è il Vicario, ha auspicato che “lo spirito dei Giochi Olimpici possa ispirare tutti, partecipanti e spettatori, a combattere ‘la buona battaglia’ e terminare insieme la corsa (cfr 2 Tm 4,7s), desiderando conseguire come premio non una medaglia, ma qualcosa di molto più prezioso, cioè la realizzazione di una civiltà in cui regna la solidarietà, fondata sul riconoscimento che tutti siamo membri di un’unica famiglia umana”.