Volevo essere anche (R)io. Viva l’Italia: alle Olimpiadi stop ai campanilismi e sport di squadra al top

Quando noi italiani ci uniamo, diamo il meglio di noi, altrimenti siamo i primi nemici di noi stessi. Non c’era bisogno di questa Olimpiade per fare questa constatazione perché già numerose altre volte ne abbiamo avuto la conferma, ma ribadirlo una volta di più pensiamo che non faccia male. I risultati degli sport a squadre in questa edizione brasiliana parlano già chiaro nonostante i rispettivi tornei non siano ancora finiti: finale nel beach volley maschile con Lupi e Nicolai (con la coppia Carambula-Ranghieri che hanno comunque sorpreso tutti nonostante l’eliminazione); semifinale nel volley maschile dove ci presentiamo da favoriti; finale nella pallanuoto femminile e semifinale in quella maschile con l’aggiunta per quanto riguarda questo sport che siamo l’unico paese ad aver piazzato entrambe le selezioni tra le prime quattro al mondo. Abbiamo peccato in altri sport nobili come la pallacanestro e il calcio nei quali non abbiamo nemmeno ottenuto il pass e il volley femminile che è stato cacciato subito malamente a suon di sconfitte roboanti. Se però facciamo un passo indietro agli europei di calcio di un mese e mezzo fa ci accorgiamo che la Nazionale è arrivata ben più lontano di quanto potessimo sperare rendendosi protagonista di imprese memorabili, su tutte quella contro la Spagna agli ottavi di finale. Cosa significa questo? Che quando lasciamo da parte campanilismi, ricerche di prendersi dei meriti parziali e futili ai fini del risultato, screzi tra club o addirittura dimostrazioni di territorialismo tra nord e sud siamo tra i primi al mondo. Nello sport e, ancora una volta ci tocca dirlo, anche al di fuori nello sport: nel commercio, nell’imprenditoria, nel sociale, nella cultura e anche nel semplice ma sempre determinante rapporto tra persone. Più che mai di questi tempi l’unire le forze per il bene di tutti è essenziale per adattarsi ai tempi che sono radicalmente cambiati. Qualcuno sta abusando di questo concetto sintetizzandolo con quel “fare rete” che può voler dire tutto oppure nulla, spesso nulla visto che non si comprende fino in fondo di cosa si stia parlando. Eppure è bene ribadire l’importanza di una squadra, di una collaborazione, di un’unità e di una cementificazione di un gruppo di lavoro perché per noi italiani non è certo semplice mettersi in quest’ottica, non fa ancora completamente parte del nostro DNA. La nostra storia italica ha radici millenarie, ma l’unità vera e propria l’abbiamo conquistata mica tanto tempo fa, 155 anni or sono e negli anni successivi le cose si sono ancora dovute assestare sia da un punto di vista politico che geografico. Centocinquantacinque anni di storia sono un nulla rispetto a tutto quello che è successo prima con ogni popolazione che abitava nella penisola italica che maturava una propria cultura, una propria identità, un proprio modo di vivere, una propria potenza, una propria economia ed una propria politica. Tutte radici che ancora oggi, ogni tanto, riaffiorano e risultano essere d’intralcio per il bene dell’Italia perché si fatica ancora ad accettare di essere tutti italiani uguali che hanno il dovere di remare da una stessa identica parte. L’identità di ogni comune, di ogni città, di ogni regione va mantenuto e coltivato, ma deve essere soltanto un ingranaggio di una macchina complessa e potenzialmente forte come l’Italia, unita. Daniele Lupo da Roma e Paolo Nicolai da Ortona (Chieti) lo dimostrano. In bocca al lupo a loro per la finale di stanotte…e un evviva per l’Italia.