Il laico/Teresa di Calcutta, Teresa di Lisieux e gli altri: le notti dell’anima

Foto: Teresa di Lisieux

Ero in Terra Santa settimana scorsa a guidare un gruppo. Uno dei luoghi che più restano impressi è senz’altro il Getsemani. Luogo della lotta (“agonia”) e del grido. Gesù è schiacciato dal male, suda sangue, piange, ha paura, geme. Ma il Getsemani è anche il luogo dell’abbandono e dell’affidamento.

LA NUOVA SANTA: IL CIELO NON SIGNIFICA NIENTE PER ME

Mentre contemplavo la roccia dell’agonia custodita nella Basilica, mi veniva da pensare a Madre Teresa di Calcutta, canonizzata domenica scorsa. Alle sue notti oscure, a quell’aridità spirituale, a quel buio della fede nel quale ha vissuto per lunghi decenni della sua esistenza. Al suo padre spirituale scrive: “C’è tanta contraddizione nella mia anima, un profondo anelito a Dio, così profondo da far male, una sofferenza continua – e con ciò il sentimento di non essere voluta da Dio, respinta, vuota, senza fede, senza amore, senza zelo… Il cielo non significa niente per me, mi appare un luogo vuoto”. E in un’altra lettera: “Dicono che la pena eterna che soffrono le anime nell’Inferno è la perdita di Dio… Nella mia anima io sperimento proprio questa terribile pena del danno, di Dio che non mi vuole, di Dio che non è Dio, di Dio che in realtà non esiste. Gesù, ti prego perdona la mia bestemmia”.

TERESA DI LISIEUX: SE NON AVESSI FEDE, MI SAREI UCCISA

Certo, è un’esperienza – questa – vissuta da molti mistici. Penso ad un’altra donna straordinaria, dalla quale la santa albanese volle prendere il nome da religiosa: Teresa di Lisieux. Dottore della Chiesa, amata dal popolo cristiano, studiata dai teologi più raffinati del Novecento. Entrata giovanissima nel Carmelo della città, sarà presto messa alla prova, e duramente, dalla sofferenze: la sua malattia non sarà né rapida né indolore. È la malattia di una persona giovane, con il carico di imprevedibilità e dunque dell’ingiustizia secondo i tempi dell’uomo: “Si possono scrivere cose bellissime sulla sofferenza. Ma bisogna esserci dentro per sapere”. E ancora: “Se non avessi avuto la fede, mi sarei uccisa senza esitare. “Non mi pento di essermi offerta all’Amore… (ma) non avrei mai creduto che fosse possibile soffrire così tanto”. Sono espressioni non di una malata ormai in via di guarigione, ma di una che si sa all’inizio del Calvario. “Se questa è l’agonia, che sarà la morte?”. “Vi assicuro che il calice è pieno fino all’orlo”. La sua umanità così franca rende ancor più possibile per ciascuno, nelle sue ribellioni, la stessa via. Non è l’eroismo stoico, ma la grandezza ferita, quella che appartiene a ogni sensibilità di uomo.

CIASCUNO HA IN SÉ UN NON CREDENTE E UN CREDENTE

D’altronde, per molti di noi, così è anche la fede. Per tanti non è un’esperienza agevole. Anche quanti professano un’appartenenza esplicita esplicita alla Chiesa e partecipano con regolarità alla sua vita, sentono che la fede non è un dato pacifico.  Sia l’Antico che il Nuovo Testamento ci mostrano  itinerari di fede non lineari, spesso contorti e faticosi, proprio da parte di coloro che diventano nelle Scritture i destinatari privilegiati dell’agire di Dio, i suoi testimoni e quindi anche i modelli per il discepolo. Questa è anche l’esperienza delle donne e degli uomini di oggi. Per nessuno la fede è un lungo fiume tranquillo, ma è sempre un cammino, una tensione che non raramente vive più di dubbi che di certezze, che spesso ha la connotazione della lotta con Dio che il famoso testo di Giacobbe (Gen 32, 23-32) ci ricorda. Come diceva con lucidità il cardinal Martini: “Io ritengo che ciascuno di noi abbia in sé un non credente e un credente, che si parlano dentro, si interrogano a vicenda, si rimandano continuamente interrogazioni pungenti e inquietanti l’uno all’altro. Il non credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa».

Nelle “Conversazioni notturne a Gerusalemme” rivelando quale domanda avrebbe rivolto a Gesù se ne avesse avuto possibilità, Martini spiega: “Gli domanderei se mi ama, nonostante io sia così debole e abbia commesso tanti errori; io so che mi ama eppure mi piacerebbe sentirlo ancora una volta da lui. Inoltre gli chiederei se in punto di morte mi verrà a prendere, se mi accoglierà. In quei momenti difficili, del distacco o in punto di morte, lo pregherei di inviarmi angeli, santi o amici che mi tengano la mano e mi aiutino a superare la mia paura.”