Le debolezze congenite dell’Islam. Il celebre, profetico discorso di Ratzinger a Ratisbona, dieci anni dopo

Ratisbona, 12 settembre 2006. Nell’università in cui fu professore, Joseph Ratzinger torna nelle vesti di papa Benedetto XVI, tenendo un discorso che susciterà polemiche e indignazioni, ma che oggi, a dieci anni di distanza, possiamo senza dubbio definire profetico e illuminante.

ISLAM E CRISTIANESIMO

Il discorso di Ratisbona è generalmente considerato come un discorso sull’islam: in realtà fu qualcosa di più. La menzione dell’islam era funzionale, nelle parole del Papa, a contrapporre il carattere intimamente autoritario di una religione – l’islam – al carattere intimamente “illuminista” di un’altra, il cristianesimo, nonostante i limiti e le degenerazioni del passato: la tesi ratzingeriana era che non può sussistere una religione senza ragione, e che anzi Fede e Logos costituiscono un binomio inscindibile. È evidente che, in questa prospettiva, l’islam rivelava e rivela una profonda debolezza.

LA QUESTIONE ISLAM

Le parole del papa suscitarono le ire del mondo islamico – ed è comprensibile – e di parti del mondo cattolico – ed è meno comprensibile –, che lo accusarono di compromettere i rapporti interreligiosi. Oggi, dieci anni dopo, la situazione è peggiorata proprio perché la strada sapientemente indicata da Benedetto XVI non è mai stata imboccata. Bisogna essere chiari: la questione islamica non consiste e non si esaurisce nel terrorismo, che pure va combattuto ed estirpato. È un’ovvia banalità dire che non tutti gli islamici sono terroristi o fiancheggiatori del fondamentalismo (e ci mancherebbe), ma la questione è molto più ampia, e riguarda la compatibilità di una religione con la democrazia e i regimi liberali, il rispetto dei diritti, una storia di progresso e di conquiste.

Ernesto Galli della Loggia ha più volte messo in luce, con autorevolezza, le contraddizioni irrisolte che l’islam occidentale prima o poi, volente o nolente, dovrà affrontare, a meno che non sia del tutto indifferente al tema dell’integrazione: a cominciare dalla concezione della donna, che anche quando viene tutelata – raramente – nella sua autonomia e nella sua volontà, è comunque considerata antropologicamente inferiore al maschio, tanto che un eventuale trattamento rispettoso nei suoi confronti si configura al massimo come la benevola concessione di un uomo tollerante. C’è poi lo scarso o nullo rispetto nei confronti della diversità, di essere (vedi trattamento degli omosessuali), di esprimersi, di pensare: l’islam raramente conosce un dibattito interno o lo sviluppo di un pensiero che non sia rigorosamente uniformato al Corano, e l’eterodossia – non dico dottrinaria, ma almeno culturale – non è nemmeno contemplata, come testimonia il caso di Maryan Ismail, antropologa mussulmana marginalizzata persino dal Partito Democratico milanese, di cui faceva parte, per le sue posizioni coraggiose e non allineate all’islam maggioritario.

Per finire, è oggettivamente diffuso, tra le comunità islamiche europee, un sentimento di ostilità e freddezza, se non di disgusto, per i tratti edonistici, libertini e materialistici del mondo occidentale, aspetti che pure il cattolicesimo deplora, ma nella consapevolezza che si tratta di effetti collaterali di una libertà comunque irrinunciabile, anche per la religione stessa.

TRATTAMENTO DIVERSO PER L’ISLAM E PER LA CHIESA

È insopportabile la schizofrenia con cui, soprattutto in certi ambienti progressisti, si guarda alla Chiesa e all’islam: la prima viene tacciata giorno sì e l’altro pure di oscurantismo, conservatorismo e passatismo, mentre al secondo si perdona ogni difetto, si invoca il rispetto delle culture diverse, si evoca una presunta uguaglianza delle religioni smentita dal processo storico e della realtà. L’unica strada che possa inaugurare un’evoluzione positiva del rapporto cristianesimo-islam, occidente-islam è quella segnata – e purtroppo ancora non percorsa – da Benedetto XVI a Ratisbona: ma ad incamminarsi dev’essere prima di tutto l’islam.

Anche dieci anni fa, come spesso gli è capitato, Ratzinger fu poco compreso: volava alto, troppo alto per l’opportunismo e la pusillanimità di chi lo spinse a scusarsi, costringendolo a una retromarcia persino umiliante per chi ha fatto del coraggio intellettuale una stella cometa del suo vivere e del suo esprimersi. A Ratisbona, Benedetto XVI aveva evangelicamente gettato fuoco: fecero di tutto per spegnerlo, ma quanto vorremmo fosse ancora acceso.