Matteo Locatelli, da Villa d’Almè all’Argentina: “La missione ha cambiato il mio sguardo sulla realtà”

Tornare in missione è un po’ come tornare nel mondo. È un po’ come aprire nuovamente gli occhi e accorgersi che oltre alle nostre esili e vacillanti vite e a ciò che le circondano c’è un mondo di cui nessuno parla ma che è lì, da scoprire. Basta aver voglia di mettersi in gioco.

Matteo Locatelli è uno di quelli che in missione ci è tornato. 32 anni di Villa d’Almé. Laureato nel 2010 al Politecnico di Milano in Ingegneria delle telecomunicazioni. Da due anni si è trasferito in provincia di Bologna per lavoro. Quest’estate è ripartito con il Centro Missionario Diocesano per una nuova esperienza breve in missione. Ci facciamo raccontare come è andata.
Sono stato in missione per la prima volta 4 anni fa (2012) in un villaggio nel nord del Benin sempre tramite il CMD. Eravamo un gruppo di 5 ragazzi tra cui un mio grande amico ed eravamo ospitati in una missione di suore locali che nel villaggio gestiscono un asilo e hanno un ruolo pastorale e di aiuto per la popolazione locale. Volevano organizzare una festa dedicata alla loro santa fondatrice, una festa aperta a tutte le persone del villaggio. Noi abbiamo contribuito a organizzare ed animare questa festa.
Nella seconda esperienza, recentemente conclusa, siamo stati a Quimilì, in provincia di Santiago del Estero (Argentina) ospiti nella missione di don Claudio Boffi. Eravamo un gruppo di 3 persone: io, Miriam e Gloria. Ci hanno ospitato i padri scolopi (il termine deriva da Escuela Pia) che, ho scoperto, fanno un voto in più che è quello dell’istruzione con un occhio particolare verso i più poveri. Difatti a Quimilì gestiscono due scuole e un asilo. Inoltre collaborano con un gruppo di missionari locali nella diffusione del messaggio pastorale. Il nostro compito è stato quello di assistere gli insegnanti durante le ore di lezione, di organizzare giochi per i bambini (dai 6 ai 14 anni) e di interagire con loro.

Cosa ti ha spinto a partire nuovamente?
“La prima esperienza è stata decisamente positiva: mi ha aperto gli occhi verso una realtà che non avevo mai visto di persona. Ero tornato con una carica nuova e diversi buoni propositi: cercare di portare nella mia quotidianità ciò che avevo visto e vissuto in missione. Questo però si è presto scontrato con la mia realtà lavorativa. Quella carica con qui ero tornato dal Benin è andata pian piano scemando. Già negli anni passati avevo pensato di partire nuovamente, ma non volevo rischiare di sfruttare il Centro missionario solo come un’agenzia di viaggi e soprattutto non volevo trasformarmi in un turista-della-missione. Quest’anno però ho sentito forte il bisogno di ripartire, anche solo per riavvicinarmi al mondo missionario e conoscere un gruppo nuovo di persone che condividessero idee simili alle mie”.

Perché l’Argentina?
“Durante il percorso di formazione ho avuto l’occasione di parlare con una ragazza che era stata in missione in Argentina e aveva conosciuto don Claudio che l’aveva affascinata come persona e come missionario. Ho dunque seguito il suo consiglio e ho scelto l’Argentina”.

Che differenze hai riscontrato con l’esperienza precedente?
“Le differenze sono molte, in effetti parliamo di due mondi, di due realtà completamente diversi: nel primo caso vivevo in un contesto in cui ci era data molta libertà circa le cose da fare e le attività da organizzare nell’arco della giornata, diversamente nella seconda eravamo vincolati ai ritmi della missione e delle scuole. Poi certamente ci sono le differenze evidenti date dai diversi usi e costumi del paese in cui si viaggia: in Africa si percepisce fin da subito un senso di estraneità, si è immersi in un contesto completamente estraneo al nostro con usi e tempi del tutto diversi. Le due esperienze sono però accomunate da una caratteristica: la grande accoglienza nei confronti del prossimo. In entrambi i casi l’accoglienza che ci hanno riservato è stata impressionante”.

Cosa ti porti a casa da queste esperienze?
“Mi porto a casa la convinzione che è possibile vivere in modo diverso, né migliore né peggiore, semplicemente diverso. Per certi versi cambia la priorità che si dà alle cose; certo la routine lavorativa e quotidiana è sempre la stessa, però senti che alcune cose le percepisci e le leggi con un occhio nuovo. Un’altra cosa che mi rimane è il senso di comunità cristiana universale che abbraccia tutto il mondo, che ci accomuna e ci fa sentire fratelli gli uni con gli altri”.