Dialoghi sui sacramenti/La carezza di Cristo. L’unzione degli infermi

Ho saputo che sua moglie è malata. Coraggio! Uno di questi giorni verrò a trovarvi.

Grazie, signor Parroco. Ma forse è meglio di no. Una sua visita potrebbe  farle venire dei sospetti. Potrebbe pensare che vanga per l'”olio santo” e che quindi per lei sia vicina la morte.

Ma cosa dice? Lei per caso evita di chiamare il medico perché sua moglie potrebbe pensare che venga per scriverle il certificato di morte?

No, ma il prete dagli ammalati viene specialmente per prepararli alla morte.

Ci mancherebbe… Il prete è innanzi tutto un evangelizzatore, cioè un portatore di buone notizie.

Ma quale buona notizia, reverendo, in un caso disperato come questo?

Che il Signore è vicino con il suo conforto… Le pare poco? Quando sua moglie sta male e voi suoi cari non potete far niente, non è già una gran cosa per lei l’abbracciarla o il dirle: sono qui io?

È vero! A volte basta una carezza per rasserenarla.

Ecco, non ha mai pensato che l’imposizione delle mani del sacerdote accompagnata dall’unzione con l’olio è la carezza di Gesù stesso per consolare, incoraggiare e curare?

Il fatto è che non abbiamo abbastanza fede… Ci aiuti, signor Parroco.

Son qui per questo. Per questo le dicevo che voglio venire a trovarvi. S. Giacomo nella sua Lettera dice proprio questo:”Qualcuno fra voi è malato? Chiami i sacerdoti della Chiesa e preghino su di lui,  lo ungano con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato”.

Ma perché questo Sacramento così bello dell’amore premuroso del Signore per chi soffre è così temuto dalla gente, anche dai praticanti?

Per diverse circostanze storiche che le risparmio, l’Unzione era stata man mano relegata al termine della vita come “estremo conforto religioso”, l’Estrema Unzione appunto, e, al di là delle intenzioni della Chiesa, diventava un vero e proprio annuncio di morte. Era quindi naturale che gente anche praticante ne avesse paura e la ritardasse a quando il malato a volte… era già morto.

Io non m’intendo molto di queste cose, ma probabilmente anche qui è questione di informazione…

Dica piuttosto di catechesi. Gesù diceva: “Curate i malati e dite loro: È vicino a voi il regno di Dio”. Occorre dire al malato che il Signore si fa vicino anche a lui per aiutarlo a vivere quello che sta vivendo come Dio vuole, “in piedi”, con la certezza che per chi ama Dio tutto, anche il tempo della malattia, concorre alla realizzazione personale. Il sacramento, normalmente, non si può improvvisare: dovrebbe essere una tappa forte di un cammino di fede, che dovrebbe partire da lontano.

Peccato che anche voi preti siate sempre meno numerosi e che quindi veniate molto meno a trovare i malati.

Ma questa carità dell’accompagnamento spirituale può esser fatta anche dai laici: amici e famigliari, e, a volte, se si eccettua la confessione, può essere anche più incisiva di quella dei preti.

Me lo lasci dire: quando l’annuncio di fede e le proposte di spiritualità riguardanti la malattia in una comunità e in una famiglia sono una costante, al momento giusto non possono non dare il loro frutto: il desiderio dei sacramenti della fede per incontrare il Signore che consola e dà la sua forza.

Perciò questo sacramento che. per le ragioni che ha detto, ha sempre fatto un po’ paura, potrebbe essere addirittura desiderato!….