Donald Trump vince a sorpresa. Giorgio Mulé, Panorama: «L’America è più forte di qualsiasi presidente»

Donald Trump è il 45° presidente degli Stati Uniti: occhi sgranati e facce lunghe dei commentatori alla tv, ma anche la reazione delle borse, subito in ribasso, danno un’idea di come sia stata accolta la notizia qui in Europa e nel mondo. Gelida la reazione di Hilary Clinton, che ha mandato a casa i suoi supporter con due battute del suo portavoce e non ha pronunciato oggi il tradizionale discorso “della sconfitta”.
Ho trascorso questa lunga notte elettorale al Warm Up party del Circolo del Commercio americano a Milano di corso Venezia: c’erano più di 600 persone, moltissimi americani, tra loro tanti manager delle multinazionali che lavorano in Italia, ma anche giornalisti, politici, commentatori. Per gioco hanno aperto un’urna per votare e alla fine il verdetto è stato tutto per Hilary. Nessuno si aspettava il risultato di questa mattina, ieri sera al buffet semmai il discorso, pur nell’incertezza, pendeva sulla scelta tra camomilla (nel caso i risultati del voto fossero stato subito sbilanciati in modo inequivocabile per la Clinton) e caffè (per aspettare in piedi in caso di un testa a testa fino all’ultimo, come poi è stato, ma alla fine, dicevano ieri sera, la festa per la prima donna alla Casa Bianca veniva comunque data per certa, con tanto di calcioni scherzosi alla sagoma in cartone del tycoon…Ma poi abbiamo visto com’è finita).
Nei commenti a caldo, nel corso della maratona notturna, però, è prevalsa la prudenza: «Molti hanno detto negli ultimi mesi con toni apocalittici “se vince Trump si ferma l’America” – ha osservato Giorgio Mulè, direttore di Panorama -. Non è vero: gli Usa sono più forti di qualsiasi presidente, i valori e la tradizione che caratterizzano gli americani vinceranno lo stesso.  Una volta eletto il presidente inizierà il suo discorso il 20 gennaio con “My Fellows Americans”, e si rivolgerà a tutti gli americani. Non ricordo un presidente che non abbia ritrovato dietro di sé tutto il popolo unito. Da oggi si volta pagina e si comincia una storia nuova. Ovviamente per dare un giudizio bisognerà vedere che direzione prenderà la politica americana rispetto al Medio Oriente, ai grandi conflitti, all’Asia. Sono tutti interrogativi che toccheremo con mano cammin facendo. Ma il primo richiamo è quello della difesa della libertà e dei principi della civiltà occidentale, che si basa sulla mutua solidarietà. Mai come adesso abbiamo bisogno di una nazione libera che sappia parlare all’Europa. Ci auguriamo che possa fare in modo che il Sud del mondo sia sempre meno periferia e che sia il più possibile pacificato».
È la speranza la qualità fondamentale del popolo americano che ha voluto sottolineare Franco Bruni, vicepresidente dell’Ispi: «Il nuovo presidente avrà un compito difficile: riportare un’atmosfera armonica, collaborativa, con meno divisioni, basata sul rispetto reciproco, sulla tolleranza e su una qualità fondamentale del popolo americano, la speranza. E questo sia nei confronti degli affari interni americani sia per le relazioni internazionali. Se non ci sarà un’azione decisa in questo senso il mondo potrebbe continuare a scivolare su una china brutta e pericolosa. Sarà una responsabilità molto pesante. Oggi viviamo in un mondo diviso, in cui le società sono più chiuse e un po’ dappertutto stanno emergendo i nazionalismi. Sono due i fronti sui quali il nuovo presidente dovrà registrare un successo importante. L’impressione è che ci sia una diffusa carenza di valori condivisi di rispetto reciproco, di coordinamento, di solidarietà, di prontezza nell’agire in modo unitario per risolvere problemi comuni di interesse pubblico, sia all’interno sia all’esterno degli Stati Uniti, e così viene meno una grande tradizione di questo Paese. Ci sono fratture profonde tra classi sociali e partiti, un grosso lavoro da fare anche all’interno. Sul fronte esterno, invece, l’integrazione politica europea è in un momento difficilissimo e questo rende la vita difficile anche al presidente americano. Se fossimo più forti, solidali e uniti la situazione migliorerebbe molto. Un aiuto importante da parte degli Stati Uniti su questo fronte, dall’altra parte, aiuterebbe la stessa posizione americana. In questi 15-20 anni al rise of the West si è succeduto the rise of the Rest: una parte di mondo che prima era sott’acqua, non si vedeva è invece emersa. Su questo fronte ci sono invece dei passi avanti di grande importanza. Molti di noi in Europa saranno dediti a questo compito: rafforzare le alleanze, cambiare strada, impegnarsi per l’integrazione e sarebbe bello che su questa strada più costruttiva ci sia un rapporto sempre più stretto con gli Usa, con la capacità di riconoscere ciò che ci lega. E quando parlo di Europa intendo anche il Regno Unito, ce la faremo a tenerlo con noi. Non dobbiamo permettere all’Oceano Atlantico di allargarsi».
Molto fluidi gli scenari economici tratteggiati, infine, da Andrea Cabrini, direttore di Class Ncbc: «Per nove giorni la borsa è scesa perché si temevano gli effetti dell’indagine dell’Fbi sulla corsa presidenziale della Clinton. Dopo il ritiro delle accuse gli indici infatti sono di nuovo risaliti. Si è tornati a parlare delle nomine, del futuro della Fed: il 15 dicembre è in previsione una riunione del comitato che potrebbe decidere un rialzo degli interessi. I nostri legami con gli Usa economici e finanziari sono fortissimi. Entrambi d’accordo su una politica fiscale espansiva. È un momento in cui ampliare il debito pubblico non fa paura. Tutti concordi anche sulla necessità di intervenire su infrastrutture ormai obsolete. Se avesse vinto la Clinton i mercati avrebbero festeggiato, mentre con Trump stanno calando, e il dollaro potrebbe indebolirsi. Ma sono effetti di breve periodo. Sul periodo lungo la sfida è quella di ricomporre il loro elettorato e cambiare le priorità della politica economica per dare vita a una politica più inclusiva. Altrimenti questi anni di crescita troppo lenta che ha favorito solo pochi rischia di alimentare il malcontento che trova solo negli estremi la capacità di esprimere la loro protesta, e di allargare il desiderio di rivalsa delle persone che non hanno niente da perdere. L’economia americana ha trainato negli ultimi due anni le nostre esportazioni e ha il potere di trainare la ripresa dell’economia globale, per questo non è indifferente la direzione che prenderanno gli Usa nei prossimi anni».

Foto Apf/Sir