Il terremoto non è un castigo di Dio

Foto: Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria

Un intervento fuori luogo

È passato qualche giorno dalle stravaganti prese di posizione di P. Giovanni Cavalcoli, domenicano, che attraverso Radio Maria, ha stabilito una connessione tra il terremoto dell’Italia centrale e i peccati in voga al giorno d’oggi come l’omosessualità e le unioni civili. Ma non è passato il terremoto, che continua a scuotere il centro Italia e non è passato neppure il problema posto dalle parole dette e dal fatto che chi le ha dette è un uomo di Chiesa, un religioso. L’incauto, come si sa, è stato immediatamente tacitato dal Sostituto della Segreteria di Stato, Mons. Becciu, e il Vescovo di Rieti, Mons. Pompili, ha parlato di “scempiaggini blasfeme”. Nientemeno!
Ma il buon domenicano ha insistito sfidando, in certo modo, i suoi autorevolissimi censori: “Sono dottore in teologia da trent’anni e ribadisco che peccati come l’omosessualità meritano il castigo divino che si può manifestare anche con i terremoti”. E ha aggiunto: “Ripassino in Catechismo!”.

Andiamo alle fonti della fede

Il citato Catechismo della Chiesa cattolica ha validità perché è fondato sulla Parola di Dio che ci è data nella Bibbia. Ora, a riguardo del problema dei castighi di Dio nelle sacre Scritture troviamo alcuni punti illuminanti, che però non vanno propriamente nel senso indicato da P. Cavalcoli.
Nell’Antico Testamento c’è innanzi tutto l’intero Libro di Giobbe. Già a quell’epoca c’era chi metteva in rapporto diretto il peccato e la sofferenza e affermava che questa è ogni volta un castigo per chi ha fatto del male. Giobbe, colpito da una valanga di guai, si ribella perché si sente innocente. Alcuni amici vengono a trovarlo e cercano di indurlo a penitenza, perché non è possibile che egli sia in quello stato se non a causa di un suo peccato, di cui potrebbe anche non essere consapevole, ma che senz’altro c’è. Egli insiste nel dirsi innocente e, non capendo il perché dei suoi mali, osa chiamare in causa Dio stesso. E Dio non si sottrae: innanzi tutto non rimprovera a Giobbe alcun peccato ma, dato che questi gli chiede conto della sua sofferenza, egli risponde con una raffica di domande che suonano come una sfida:

Dov’eri tu quando io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai?… Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando erompeva uscendo dal seno materno?… Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all’aurora?… Per quale via si va dove abita la luce e dove hanno dimora le tenebre? Certo, tu lo sai, perché allora eri nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande!… Sai tu quando figliano le femmine del camoscio e assisti al parto delle cerve?… Puoi tu dare la forza al cavallo?… Forse per il tuo senno si alza in volo lo sparviero? O al tuo comando l’aquila s’innalza e pone il suo nido sulle alture?… L’accusatore di Dio risponda!.
Giobbe rivolto al Signore disse: “Ecco, che ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò”.

Come si vede, Dio non dà a Giobbe una risposta sul rapporto peccato-sofferenza; lo porta a mettersi in silenzio adorante. Egli lo fa, ma insiste: “Ascoltami e io parlerò, t’interrogherò e tu istruiscimi”.

Il pensiero di Gesù

Per noi cristiani l’istruzione invocata da Giobbe arriva nel Nuovo Testamento, con Gesù, il Figlio di Dio venuto nel mondo per dire agli uomini le cose che il Padre gli ha detto di dire (Gv 8, 28; 12, 49).In ordine al problema del rapporto fra peccato e disgrazie, Gesù, secondo il desiderio di Giobbe, ci istruisce in due occasioni. La prima è nell’episodio del cieco dalla nascita (Gv 9,ss). I discepoli chiesero a Gesù:

Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?”. Gesù rispose: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio».

La seconda è in Luca 13,ss.

Si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.

Ecco, in base alla Parola di Dio, P. Cavalcoli tutt’al più, avrebbe potuto dire che negli avvenimenti disastrosi non è che ci sia un intervento punitivo di Dio, che è e rimane “paziente e molto misericordioso”, ma ogni volta si deve sentire che c’è una chiamata per tutti a una vita più saggia e più giusta.