Giovanni Battista, il contestatore. Il deserto e la città

Foto: veduta del deserto di Giuda

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”. Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”

(Vedi Vangelo di Matteo 3, 1-12. Per leggere i testi liturgici di domenica 4 dicembre, seconda di Avvento “A”, clicca qui).

Giovanni Battista, il contestatore

Il Battista è, di prima vista, figura strana, per come si veste, per quello che dice. Che senso può avere per noi? Eppure esiste la possibilità di ripensare anche oggi la figura biblica del profeta e, più in particolare, di questo profeta. Soprattutto negli aspetti che ci interessano durante il tempo di Avvento: la sua povertà, quasi polemica, il suo rifiuto degli aspetti negativi e ingiusti della società e degli uomini.

Mentre Luca lega la storia di Gesù a quella del mondo, Matteo usa l’espressione “in quei giorni” che, nel Vecchio Testamento, indica un intervento decisivo di Dio, specialmente alla fine dei tempi. Dunque, Dio è in azione, interviene. Interviene attraverso la figura grandiosa, inquietante di Giovanni. Giovanni si trova nel deserto. Appena un ebreo sente parlare del deserto, va con la sua memoria al deserto del Sinai, che i padri hanno attraversato, mentre fuggivano dalla schiavitù dell’Egitto e camminavano verso la libertà della Terra Promessa. Nel deserto gli ebrei non avevano nulla, né casa, né cibo, né acqua. Eppure Dio provvedeva a tutto: li accompagnava con la sua nube, procurava loro la manna, li assisteva, continuamente. La povertà del deserto ha permesso loro di sentire ancora più intensamente la vicinanza di Dio. Per questo Giovanni sceglie di andare nel deserto: Dio è di nuovo vicino, si fa sentire, è qui. Sono arrivati gli ultimi tempi e Dio sta mettendo in atto il suo intervento decisivo. Bisogna convertirsi: il termine significa: “cambiare vita”, rovesciare il proprio modo di vedere e di pensare.

Il profeta ha lasciato la città. La città va dal profeta

L’annuncio di Giovanni Battista è, diremmo oggi, “popolare”: tutti possono salvarsi, basta cambiare vita. Non è un processo lento e faticoso, come per i “monaci” di Qumran… In effetti, il discorso del Battista sembra avere successo: tutti accorrono da lui. Eppure si tratta di un discorso violento, soprattutto contro Farisei e Sadducei: i primi sicuri della loro santità, i secondi tutti presi dalla loro ricchezza e dal loro potere… Ma Dio è qui. Allora, grida il Battista, bisogna “uscire da sé”, affidarsi, abbandonarsi. È il tempo della fede. O si crede o ci si perde. In mezzo ai suoi ascoltatori si trova uno che rappresenta il taglio netto, l’annuncio nudo e crudo… Bisogna ascoltarlo.

Il sogno del profeta e il nostro possibile sogno

La prima lettura è di Isaia. Il profeta parla in tempi calamitosi. Tutto va male. Il re non segue la legge del Signore. I poveri, come sempre, sono le prime vittime. Eppure Isaia non dispera. Nella nascita di un rampollo regale vede un segno. Tutto può cambiare, tutto cambierà… Il “sogno” della prima lettura può spiegare qualcosa del “sogno” del Battista: tornare al deserto, all’incontro in tutta purezza con Dio. In qualche modo: tornare all’esodo e riprendere da capo l’esperienza di Dio che i padri hanno fatto. Nei tempi difficili nei quali ci tocca vivere, bisogna tenere viva la speranza di un mondo diverso. Ma non per fuggire da questo mondo, bensì per cambiarlo e salvarlo. Il sogno può essere una tentazione. Isaia resta a corte. Come i monaci: vanno nel deserto, ma nel deserto si interessano della città e succede che la città va da loro o, soprattutto nei tempi di grandi calamità, loro tornano alla città.

Il compito dei credenti, dunque, è portare speranza, aiutare gli uomini che incontriamo a non disperarsi, a vivere bene anche quando si ha di meno. Perché la cosa più importante non è possedere molto, ma continuare a essere uomini. Può perfino succedere che nel deserto si viva meglio che in città.

“Si raccolgono pure nelle tue mani i possessi dei molti ricchi; la sorte ti doni più denaro di quanto ne possiede normalmente un privato, ti ricopra d’oro, ti vesta di porpora, ti conduca a tal punto di lusso e di ricchezze da poter nascondere la terra coi marmi; ti sia concesso non solo di possedere, ma anche di calpestare le tue ricchezze; si aggiungano statue e dipinti e tutto quanto le arti hanno escogitato per il lusso: da questi beni imparerai solo a desiderarne sempre di più” (Seneca, Lettera 16).