Maria di Magdala, da peccatrice ad «apostola senza storia». Un incontro alla Fondazione Serughetti La Porta

In un suo bellissimo quadro, Georges de La Tour ne fa un simbolo della caducità delle cose umane,  rappresentandola mentre accarezza un teschio e contempla la fiamma tremula di una lampada a olio; in Mary di Abel Ferrara – film un po’ confusionario ma interessante -, lei ha invece il volto di un’inquieta Juliette Binoche. Prostituta redenta, discepola innamorata del Signore Gesù, poi evangelizzatrice di Marsiglia e possibile antenata dei sovrani Merovingi: nei secoli, la figura di Maria Maddalena ha subito numerosissime riscritture, soprattutto a opera di interpreti maschi. Propone un approccio diverso, filologicamente più rigoroso il libro delle teologhe Marinella Perroni e Cristina Simonelli Maria di Magdala. Una genealogia apostolica (Aracne Editrice, pp. 192, € 15,00). Mercoledì 7 dicembre alle 21 il libro sarà presentato a Bergamo dalle autrici, nella sede della Fondazione Serughetti-La Porta, in viale Papa Giovanni XXIII, 30; l’incontro, a ingresso libero e promosso in collaborazione con la Comunità di San Fermo, sarà introdotto da Maria Elena Nardari e sarà dedicato alla memoria di Virginia e Giovanni Serughetti.

Marinella Perroni, docente di Nuovo Testamento presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo e la Facoltà teologica “Marianum” di Roma, ha firmato la prima parte del volume, intitolata Un’apostola senza storia: la tradizione canonica. In queste pagine vengono affrontate, sotto un profilo esegetico e teologico, delle questioni solo apparentemente «antiquarie» e in realtà assai attuali, poiché riguardano cliché che incidono negativamente sul «tasso di credibilità» dell’annuncio cristiano nell’orizzonte culturale contemporaneo.  Per esempio, nell’immaginario collettivo è quasi ovvio che Maria di Magdala (prima testimone del Risorto, come racconta il capitolo 20 del Vangelo di Giovanni) fosse la stessa donna «peccatrice» che precedentemente aveva bagnato con le sue lacrime, asciugato con i capelli e poi cosparso di profumo i piedi di Gesù, in una delle scene più belle ma anche più perturbanti nel complesso delle narrazioni evangeliche. Nella Chiesa latina in effetti fu Gregorio Magno, verso la fine del sesto secolo, il primo a identificare questa donna con Maria Maddalena, inaugurando una tradizione che sarebbe stata ulteriormente arricchita di particolari fantasiosi nella Legenda aurea di Jacopo da Varagine.

Forse anche più rilevante è una seconda questione, relativa al «ridimensionamento» della figura della Maddalena e di altre discepole di Gesù nel corso della storia cristiana: se Maria è onorata spesso con l’appellativo di «apostola degli apostoli» – proprio in ragione del fatto che per prima avrebbe portato agli altri l’annuncio della resurrezione di Cristo -, l’immagine di lei tende però a cristallizzarsi nella sequenza peccato-conversione, collocandosi ai bordi della cerchia apostolica in senso proprio. A distanza di tempo, sant’Ambrogio avrebbe «giustificato» questo scivolamento della Maddalena ai margini dell’attività missionaria della Chiesa con una presunta inadeguatezza del genere femminile tout court: «Poiché la sua costanza è impari per predicare, e il sesso è troppo debole per eseguire questo compito, agli uomini è affidato il mandato di evangelizzare».

Si intuisce quale sia la posta in gioco in una ricognizione delle testimonianze (o dei silenzi) degli scritti neotestamentari su Maria e le altre donne nella Chiesa delle origini: «Grazie a un’indagine sui testi evangelici libera degli stereotipi acquisiti attraverso una sequenza di specchi deformanti lunga millenni – scrive Marinella Perroni – è diventato possibile prendere le distanze dalla Maddalena costruita artificialmente nel laboratorio della tradizione. Una Maddalena che non sia la prostituta perdonata, non abbia i capelli biondi come nel dipinto della crocifissione del Masaccio o le sembianze tragiche dell’eterna penitente come nella scultura di Donatello. Una Maddalena che non sia, come è stato detto da qualcuno, “personaggio di sintesi”, frutto di proiezioni posteriori, ma venga restituita alla storia di Gesù e del suo gruppo discepolare prima e dopo pasqua. E, in questo modo, possa interpellare le Chiese oltre che avere qualcosa da dire agli uomini e alle donne di oggi».

Nella seconda sezione del volume (Un’apostola tra spiritualità e conflitto: tradizioni apocrife) Cristina Simonelli, tra l’altro docente di Teologia patristica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, allarga appunto l’indagine a un certo numero di testi «apocrifi», esclusi cioè nel corso della storia della Chiesa dal canone dei libri «ispirati». Ci pare che uno studio di questo tipo risulti oggi particolarmente utile, anche per contrastare un’ampia letteratura «esoterico-danbrowniana» che sistematicamente e perlopiù scriteriatamente attinge, secondo i casi, al Vangelo di Maria Maddalena, alla Sofia di Gesù Cristo o agli Atti di Pilato. Questi scritti, che spesso tramandano con insistenza la memoria di Maria di Magdala, «ne propongono tuttavia in prevalenza una lettura simbolica – spiega la Simonelli -, ora spirituale e dalla sensualità evanescente (…), ora di prorompente sensualità: destino comune delle figure femminili, specialmente se filtrate attraverso l’immaginario maschile». In ogni caso, anche gli apocrifi testimoniano come agli inizi del cristianesimo fossero presenti diversi modelli di comunità ecclesiali: almeno in alcune di esse – secondo Cristina Simonelli – il riferimento alla testimonianza della Maddalena e la componente femminile in generale dovevano avere un ruolo di rilievo.