Il governo del nostro scontento. L’errore di Renzi

“Con le riforme costituzionali non si mangia”

Le numerose e convergenti analisi dei flussi elettorali confermano che il progetto di riforme costituzionali ha raccolto un imponente e socialmente articolato “Piove governo ladro!”. Vi si sono ritrovati i millenials, le periferie, le famiglie a rischio di povertà, gran parte del Sud… Il progetto di riforma è stato accusato di essere una distrazione dai problemi reali, di essere pericoloso per la democrazia, di aver favorito una rissosa divisione del Paese. Insomma: la semplificazione delle istituzioni, il rafforzamento del governo, un sistema elettorale a ballottaggio paiono non c’entrare per nulla con i nostri problemi quotidiani. Con le riforme istituzionali non si mangia: così un senso comune diffuso, tutt’altro che “buon”.

“Colpa del governo”

Il Paese, scrivono gli economisti, sta da vent’anni sul piano inclinato del declino. Su un Paese già malato, si è abbattuto lo tsunami della crisi del 2008, che da finanziaria è divenuta quasi immediatamente economica e occupazionale. Mentre gli altri Paesi, a partire dagli Usa, hanno reagito in fretta e i tassi di sviluppo e di occupazione hanno ripreso a crescere, in Italia tutto è più lento. Solo da due anni il segno “più” è tornato a collocarsi davanti alle percentuali del PIL, sempre sotto l’1%.  Dove sta la differenza rispetto agli altri Paesi europei? Esattamente nella qualità dei sistemi istituzionali e amministrativi di governo. Se nel 2015, secondo le stime ISTAT pubblicate qualche giorno fa, le persone a rischio di povertà o di esclusione sociale arrivavano al 28,7%, è colpa del governo di oggi o è l’effetto di cause sociali, culturali, istituzionali, amministrative e politiche di lungo periodo? È effetto contingente o si tratta della condizione generale del sistema-Paese? Chi ha votato NO sembra pensare che si tratti di effetto contingente di politiche contingenti di un governo contingente. Basta cambiare governo, politici e politica e il treno dello sviluppo ripartirà.

Il malcostume di tutti

Votato “con la pancia”, dunque? A parte il fatto che i neurobiologi hanno scoperto che la pancia contiene più neuroni dello stesso cervello, chi ha votato NO ha reagito riflessivamente, ma nei limiti di un orizzonte temporale corto. Eppure, è noto che la società civile italiana è una società corporativa, fondata sul capitale relazionale, non su quello individuale, sulla raccomandazione e non sul merito, sull’esclusione dei giovani e delle donne nel sistema universitario e di ricerca e nel mercato del lavoro, sull’irresponsabilità dei dirigenti in tutto il settore pubblico, su vaste complicità all’inefficienza di chi dirige e di chi è dipendente, sui certificati fasulli di malattia, su un diffuso abuso della Legge 104 (in base alla legge 104/1992, si può essere retribuiti per 3 gg. al mese, senza andare al lavoro per assistere disabili o genitori anziani), sui furbetti del cartellino, su chi non paga il biglietto in autobus o sul treno, su un 50% di evasori fiscali ecc… ecc… Società italiana nata oggi? No. Configurata così lungo i decenni. E la politica? Le assomiglia come una goccia d’acqua. Ha rispecchiato democraticamente questa società: corrispondenza biunivoca, democrazia perfetta, crescita esponenziale del debito pubblico, decrescita infelice.

La protesta non basta

Il NO reagisce a questi effetti, ma non ne vede le cause. Per farlo, avrebbe dovuto sollevare lo sguardo sull’orizzonte, sia all’indietro, sia, soprattutto, in avanti. All’indietro: avrebbe visto il Paese reale, da decenni intriso di stato amministrativo, di leggi, di regolamenti, di circolari, di governabilità debole, di complicità da declino, di assistenzialismo e di passive invocazioni allo Stato. Un Paese bloccato. In avanti: gli elettori avrebbero constatato che le ragioni per le quali gli altri Paesi europei, nostri partner e competitor, si sono sollevati prima dalla crisi che ha colpito tutti indistintamente, stanno nell’assetto politico-istituzionale-amministrativo efficiente ed efficace. Avrebbe preso atto che la politica e la morale non consistono nell’indignarsi, ma nel costruire assetti istituzionali nuovi, per disincagliare la nave del Paese dal porto delle nebbie. E i nostri millenials avrebbero compreso che il loro futuro non può ridursi ad un ritorno al passato, che conoscono poco – i mitici programmi scolastici sono svolti solo fino agli anni ’50 – : quello dell’Italia della Prima repubblica, tessuta di corporazioni e di irresponsabilità collettive, che si spartiscono come cavallette la spesa pubblica. Sì, perché, alla fine, sale dal voto del NO un grande appello all’espansione della spesa pubblica, senza che si creino le condizioni politico-istituzionali di sistema per lo sviluppo, che solo potrebbe garantire la ricchezza da distribuire e sanare le diseguaglianze peggiori e le povertà in aumento. Mai come oggi è stato visibile il nesso che stringe le riforme economico-sociali e quelle politico-istituzionali. La durissima pedagogia dei fatti non tarderà a fare giustizia delle illusioni.

L’errore e il calice amaro di Renzi

Tuttavia, anche a Renzi è sfuggito qualcosa circa il nesso tra riforme istituzionali e quadro politico. Matteo Renzi era, per un verso, moralmente obbligato a prendersi sulle spalle il mandato già conferito a Letta dal Presidente Napolitano: quello di fare le riforme istituzionali; per l’altro verso, doveva garantirsi un accordo con Berlusconi per avere la maggioranza dei due terzi del Parlamento, così da evitare la clausola dell’art. 138, che rende possibile il referendum, qualora la maggioranza non li raggiunga. Ora, la scelta di Mattarella, alla fine di gennaio del 2015, quale Presidente della repubblica – invece che del “socialista” Giuliano Amato, ostico alla sinistra del PD –  ha tenuto, sì! unito il PD, solo per un attimo, ma ha perso Berlusconi. Alfano e Verdini non bastavano. Il governo era salvo, ma al progetto di riforma è mancato un tassello politico decisivo. E ciò non ha impedito che la sinistra interna prendesse comunque la strada che sta portando alla scissione. Come nel 1946-48, le istituzioni si progettano insieme, tra i poli fondamentali della rappresentanza politica. Certo, anche la sinistra PD e quella radicale interna hanno sostenuto, in quest’ultimo anno, che lo schieramento per le riforme doveva essere più largo, cioé: sinistra+sinistra radicale e ideologicamente antiberlusconiana. Come è evidente, tra le condizioni politiche per la riforma costituzionale stava e sta un chiarimento definitivo all’interno del PD tra un’ispirazione cattolico-liberale e socialista liberale, da una parte, e quella vetero-comunista, dall’altra. Questo calice amaro è stato a lungo rifiutato. Ora Renzi dovrà berlo nelle condizioni peggiori. Intanto, il disegno di una “Grande riforma” sta, ancora una volta, alle spalle. E il Paese? Continua ad arrancare sul ronzino del declino.