L’arte di amare si impara a partire da se stessi. Un’esperienza di catechesi con i ragazzi di terza media

“E quindi tu dovresti far capire ai ragazzi che esiste un modo per imparare ad amare?” ho chiesto dubbiosa alla mia amica, catechista da quasi sette anni.
“Beh, questo mi auguro. Fargli capire che non è una tecnica, qualcosa di meccanico. Ma un’arte. l’arte di amare”.
“Parli quasi come il don. E dimmi, quest’arte dove la impari?”
Mi passa un libricino. Leggo in didascalia :” Per passare dall’informazione alla formazione e crescere in questo ambito…”.
“Beh, non è facile. All’inizio ero un po’ intimorita. Non è un argomento come gli altri. E nell’affrontarlo devo anche pensare a chi ho davanti: ragazzi di 13 anni. Sono in una fase intermedia, di passaggio, di cambiamento. Ad un incontro ho descritto questo loro periodo dicendogli che sono in un’età “senza camicia”. Sembra non esista una taglia giusta per loro. All’inizio si sono messi a ridere, ma poi mi hanno dato ragione.”
“E come hai impostato il programma?”
“L’arte di amare parte prima che dagli altri da se stessi. Se non ci si ama non si possono amare gli altri. Il percorso è quindi iniziato con una riflessione sul cambiamento che i ragazzi stanno vivendo in questo periodo di profondo mutamento. Il passaggio dall’infanzia all’età adulta passa per quella fase della vita, l’adolescenza, caratterizzata dal disagio e dalle insicurezze legate soprattutto al proprio corpo che cambia. Il primo passo quindi è l’accettazione di sé ma ancora più l’amore per noi stessi e il nostro corpo, con i suoi difetti e imperfezioni ma anche con quegli aspetti positivi che non mancano e che gli stessi ragazzi sanno riconoscere in loro.
Il passaggio successivo riguarda le relazioni più strette, quelle della sfera familiare: il rapporto coi in genitori innanzitutto con i quali si parla poco, non ci si ascolta e non ci si capisce. Da ciò la necessità, che abbiamo riscontrato, di comunicare direttamente anche con la controparte, i genitori stessi. Essi si sono impegnati in un breve cammino di confronto e dialogo con noi, tra loro e, soprattutto, con i ragazzi. Già dal primo incontro ho capito quanto la situazione sia varia: da chi è orgoglioso che il proprio figlio si apra su questo argomento, al padre che si sente sollecitato e pronto alla sfida, a chi, più umile, ammette di trovarsi spesso a disagio se non addirittura senza gli strumenti necessari quando il proprio figlio gli pone certe domande. Una madre mi ha addirittura confessato che teme di aver spaventato troppo la figlia. Non è stato intenzionale mi ha detto, ma non mi sembrava troppo convinta”.
“E poi?”
“Il terzo passo riguarda l’amicizia. Gli amici, in questo periodo, sono fondamentali perché vivono le stesse difficoltà e perché non giudicano. Bisogna però evidenziare come non abbiano tutte le risposte e che spesso è meglio rivolgersi ad altre personalità, più mature e consapevoli. Anche le cattive amicizie sono un tema fondamentale: differenze d’età troppo grandi possono portare i più giovani ad affrontare esperienze traumatiche prima del tempo e quindi senza quel bagaglio di conoscenze fondamentali per affrontare il mondo. L’ultimo passo sarà il rapporto con l’altro sesso. Fondante in questo passaggio il rispetto reciproco dell’altro e del suo corpo. L’importanza dell’amore prima del sesso, cioè del sentimento, dell’emozione e della fiducia prima dell’atto fisico in sé, che senza la parte affettiva è solo un usarsi per poi gettarsi via. Affronteremo anche il tema della castità, vissuta in esperienze diverse: per una suora, un prete e una coppia sposata: perché essa è un valore vivibile da chiunque riesca a capirne il significato più profondo.
“E loro non si sentono a disagio parlando di fronte a tutti di queste tematiche?”
“Beh, gli incontri sono solitamente strutturati in due gruppi misti, tuttavia alcune tematiche devono essere affrontate tra soli maschi e sole femmine per permettere un dialogo più aperto e libero, oltre al fatto che spesso, a quest’età, ragazzi e ragazze abbiano una preparazione e una disposizione al tema differente. Ogni incontro è strutturato in modo da incentivare il dialogo tra noi e i ragazzi e non una lezione frontale che può distogliere l’attenzione. L’incontro deve essere informale ma dobbiamo sempre tenere presente l’ambiente in cui ci troviamo e i valori religiosi che condividiamo. I supporti che utilizziamo possono essere canzoni, video e testimonianze/esperti esterni (psicologi, tema del bullismo e delle dipendenze…). Accettiamo anche le proposte degli stessi ragazzi o approfondiamo temi che scaturiscono durante gli incontri e per i quali chiedono chiarimenti.”
“Loro come stanno reagendo?”
“I ragazzi chiedono di affrontare temi quali la difficoltà di parlare con i genitori, problematiche come il bullismo, l’ anoressia… Non mancano certo le difficoltà: alcuni ragazzi non prestano attenzione perché svogliati, altri si ritengono superiori e quindi non collaborano nella riuscita dell’incontro…in generale però si riesce sempre a lasciare qualcosa di quell’ora ai ragazzi, anche solo una frase o un esempio… la cosiddetta “goccia nell’oceano”.
“E tu come la stai vivendo?”
“Sinceramente, qualche argomento preferirei evitarlo. A volte mi sento in imbarazzo. Allora cerco di ascoltare i ragazzi e lasciare siano loro a parlare, più di me”.
A fine chiacchierata ho chiesto alla mia amica di prestarmi quel libro che usa con i ragazzi, magari imparo qualcosa anch’io.