Cime spelacchiate: sempre meno neve. Anche lo sci è un tuffo in una “realtà virtuale”

Se ci togliete pure la neve, è davvero finita. Non si contano più ormai i periodi invernali – Natale compreso – con prati verdi, temperature alte e neve esclusivamente artificiale sulle piste, tanto che i più piccoli ormai sono abituati a non vederne più. I meno giovani vivono di ricordi, per fortuna ancora non lontanissimi, mentre pubblicità, immagini televisive e fotografi devono necessariamente ricorrere agli archivi per riprodurre un paesaggio invernale nel periodo clou dell’anno per sciatori e amanti della neve. Un guaio che è naturalmente economico per le strutture alberghiere e per chi gestisce impianti sciistici, ma che è anche sentimentale e culturale.
Abituarsi all’idea che Natale sia senza neve e che probabilmente questa non arriverà nemmeno all’Epifania o a Carnevale sarebbe delittuoso, sarebbe uno degli ultimi baluardi della tradizione che si scioglierebbe. E non possiamo permettercelo. Dire che questo dramma possa essere una leva per convincere tutti a cambiare stile di vita per abbassare la temperatura della terra e per riportare alle “stagioni di una volta” sarebbe complicato e aprirebbe un altro discorso enorme che rischierebbe di essere astratto e forse anche fuori tema. Si può dunque puntare sui sentimenti, sul far capire anche ai più piccoli che una città come Bergamo senza neve è anomala e che sciare su lingue bianche costruite dalla chimica e non da madre natura circondate da sassi ed erba primaverile non è la normalità, ma un’eccezione. L’impressione che tutti noi sciatori abbiamo avuto sciando in questo primo scorcio d’inverno – probabilmente il peggiore di sempre per la neve – è stata quella di essere in una simulazione, in un film, in un videogioco, in una ennesima applicazione del nostro smartphone. Non sembrava di essere in montagna, non sembrava di sciare davvero, lo si sentiva sotto gli sci che quella non era neve vera, gli occhi non potevano perdersi nell’incanto delle distese di neve, l’aria nei polmoni era insolitamente morbida e non pungente come nei rigidi inverni degli anni passati.
Ai più piccoli invece tutto questo pareva piuttosto normale, non si sorprendevano nel vedere uno scenario così paradossale e così non riuscivano nemmeno a duemila metri a distinguere le cose naturali da quelle artificiali, le creazioni della natura da quelle dell’elettronica. Non l’aspettano nemmeno forse spontaneamente a meno che non gli si racconti cosa sia e quanta atmosfera affascinante crei, allora sì che si svegliano tutte le mattine guardando fuori dalla finestra.
Addirittura c’è chi è stato felice nel non vedere la neve perché in questo modo le automobili avrebbero potuto circolare più facilmente, perché non ci sarebbero stato impicci di scarpe bagnate, di fiocchi di neve ovunque e di necessità di vestirsi in un certo modo. Non è questo lo spirito da lasciare in eredità alle nuove generazioni, sarebbe un ulteriore assist per lasciarli accomodati sul divano al calduccio, senza muoversi e senza patire un po’ di freddo simulando di sciare davanti ad una televisione. Anche se in futuro sarà così, anche se la neve non dovesse arrivare mai più, anche se lo sci dovesse scomparire.
Non è una banale invettiva contro la tecnologia e il progresso, ma un dovere per salvaguardare alcuni principi sempre validi ieri, oggi e tra cent’anni. La neve non è solo bella da vedere, magica da ascoltare e fonte di ricchezza per il turismo, ma anche un modo per affrontare quella che può essere una difficoltà, per adattarsi, per fare un po’ di fatica. Ed invece in montagna le mode cittadine resistono: gli adolescenti arrivano in montagna coi risvoltini ai jeans, senza calze e ai piedi un paio di sneackers. Una mancanza culturale che non può esistere tra i bergamaschi dettata dal fatto che la neve non c’è più, che forse non l’hanno mai nemmeno vista ma qualcuno deve dirgli che prima o poi arriverà e che esige di essere accolta e affrontata in un certo modo: col cuore e con la testa.

La foto di apertura del post è © di Federico Biffignandi