Dialoghi sull’arte sacra contemporanea: alla ricerca di nuove forme, parole e relazioni

Oggi è ancora possibile parlare di arte sacra? La nostra società ‘liquida’, capace di creare e di consumare rapidamente un’immagine, un suono, un’emozione, riesce ancora a sviluppare un linguaggio duraturo che sappia coniugare forme, figurazione e religiosità? E La Chiesa come si presenta a questa nuova sfida tra lessico binario, fenomenologia simbolica e ricerca di Dio? Sono i dubbi e le domande che noi spesso ci poniamo di fronte agli sviluppi artistici post-moderni. Michela Beatrice Ferri con il suo libro-intervista dal titolo: “Sacro contemporaneo. Dialoghi sull’arte”, pubblicato nel maggio 2016 per Ancora Editrice, ha indagato il mondo dell’arte sacra attuale attraverso diciannove dialoghi «pacifici e sereni, volutamente lontani dal contenzioso» con gli attori principali della creazione figurativa: da un lato i sacerdoti, teologi, storici dell’arte (Andrea Dall’Asta, Elena Pontigia Timoty Verdon, Giuliano Zanchi), e dall’altro gli artisti (Mimmo Paladino, Davide Coltro, Michele Dolz, Valentino Vago e altri), ovvero coloro a cui è demandata la traduzione del dettato religioso in immagini e forme. La struttura narrativa dei testi offrono diverse prospettive lasciando al lettore «il compito di confrontare le diverse risposte, i diversi ritratti d’artista, pensando all’arricchimento che ciascuno di questi dialoghi può portare».
Il gesuita Andrea Dall’Asta, scrupoloso studioso del rapporto tra architettura, liturgia e arte rivolge la propria attenzione a una concezione storico-filosofica dell’immagine quale «identità della comunità ecclesiale, essendo l’immagine concepita come luogo simbolico, espressione di un sensus fidei che si incarna in forme colori, luci» da cui discerne che «l’immagine si apre a un oltre che parla delle dimensioni più profonde dell’uomo». Elio Franzini, docente di Estetica presso l’Università di Studi di Milano, sottolinea invece come «l’essenza simbolica dell’immagine si ponga nella sua stessa capacità di trascendere il proprio statuto di immagine aprendo prospettive di senso che colgano nel percepito la capacità di rovesciare le prospettive di vedere l’invisibile». È Timothy Verdon a sottolineare invece che, anche se difficile, è ancora possibile sviluppare arte sacra attraverso i linguaggi figurativi moderni ma per portelo fare occorre una ‘sintesi’ estetica che porti la Chiesa ad instaurare «un rapporto nuovo e sempre rinnovato con l’arte contemporanea e con gli artisti del nostro tempo».
Sul rinnovamento linguistico e sul recupero dell’identità primitiva della Chiesa, sembrano altresì convergere i giudizi degli artisti. Mimmo Paladino, maestro della Transavanguardia, ricorda il suo progetto per le porte bronzee della chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo e di San Giovanni Battista a Lecce. Il linguaggio estetico di Paladino volge, come egli stesso sottolinea, verso un gusto di storica tradizione, quello delle antiche porte bizantine, un modello più arcaicizzante che più si adatta a manifestare la sua idea di una «Chiesa più antica e arcaica». Per Michele Dolz è fondamentale sviluppare «un’antropologia cristiana dell’arte» e ritornare alle radici del cristianesimo: l’Uomo. Anche Valentino Vago nelle sue realizzazioni cerca di recuperare il legame che unisce l’uomo al luogo sacro, poiché «nelle chiese il visitatore entra nell’opera, ne diventa protagonista e appartiene all’opera. Io entro in una chiesa e mi lascio coinvolgere da quel tipo di spazio, quello religioso, quello sacro, e lascio che sia lui a comandare e a chiedere». È possibile che non troveremo tutte le risposte alle domande che ci siamo posti all’inizio, ma la lettura dei dialoghi ci conduce ad una nostra personale riflessione: siamo forse in presenza di nuovo lessico artistico del sacro, dove lo spazio e le immagini si compenetrano diventando unico e indivisibile medium visivo, compenetrazioni iridescenti direbbe un futurista; la forma diventa immagine e l’immagine diventa forma.