Paola Bignardi: “Non è una generazione incredula, ma vede Dio a modo suo”

Non è una “generazione incredula” però vede Dio “a modo suo”. Sono queste le immagini guida che emergono dalla ricerca svolta dall’istituto Toniolo con i dati raccolti dall’Ipsos, che saranno messi a tema nell’incontro del 15 febbraio a Redona su “I giovani e la fede” (ore 20,45, Teatro Qoelet). Tra i relatori Paola Bignardi, coordinatrice del Rapporto Giovani per l’Istituto Toniolo, che ci offre qualche anticipazione.

Quali sono gli aspetti più interessanti del rapporto tra i giovani e la fede che emergono dal Rapporto dell’istituto Toniolo?
«L’aspetto più interessante è sicuramente quello della disponibilità dei giovani a entrare in dialogo sulle questioni della fede anche con gli adulti. Non sempre è un’apertura esplicita, ma se si scava un po’ in profondità è possibile farla emergere. Secondo la nostra ricerca i giovani covano un desiderio di assoluto, un’aspirazione a valori molto profondi, una ricerca di Dio che non ci aspetteremmo da loro. Noi spesso identifichiamo la ricerca religiosa con la pratica religiosa. I giovani no, spesso non sono praticanti ma questo non significa che non siano comunque alla ricerca di Dio, anche se in modo incompleto, confuso, che approda a quel “Dio a modo mio” che abbiamo scelto come titolo dell’indagine stessa. Approdano a Dio attraverso un percorso tortuoso, intrecciato con i propri stati d’animo, la propria emotività, con la propria situazione personale, talvolta complessa».
Cos’è che frena i giovani dall’entrare nella vita delle parrocchie e delle comunità, cosa li tiene lontani dalla pratica religiosa?
«I giovani cercano un rapporto diretto, immediato con Dio non capiscono le mediazioni costituite in primo luogo dalla Chiesa e in secondo luogo dalla cultura istituzionale da essa proposta. I riti e l’impostazione di base del rapporto con Dio sono percepiti dai giovani come estranei alla loro esperienza e poco capaci di interagire con la loro ricerca. In particolare uno degli elementi che crea problemi ai giovani è il fatto che la loro fede debba passare necessariamente attraverso la Chiesa, cioè attraverso le istituzioni, mentre apprezzano un rapporto con Dio molto diretto, non mediato».
Come attuano questo rapporto con Dio? Come considerano, per esempio, la preghiera?
«Non pregano nelle forme codificate istituzionali, ma in modo libero, personale, nei momenti, nelle forme e nelle espressioni. Ricordo la testimonianza di una ragazza che dice: “ma perché devo andare a messa la domenica? Prego quando mi viene in mente, mi basta anche soltanto un minuto per mettermi in comunione con Dio”. Non sentono il bisogno di usare le parole, le forme e i riti che utilizza la Chiesa. Non è una generazione da preghiera, ma generalmente spontanea, libera, disancorata dalla tradizione».
Cosa cercano i giovani di oggi nella fede?
«Cercano le risposte alle grandi domande sulla vita, le domande di sempre, che non hanno ancora posto a nessuno, perché nel momento in cui sono affiorate alla loro coscienza, nell’età dell’adolescenza, avevano già tagliato i ponti con la loro comunità cristiana, con gli educatori e gli altri punti di riferimento. Le hanno vissute in maniera molto solitaria, e tuttavia non volendo fare a meno di punti di riferimento, sono molto selettivi nel cercarli, li vorrebbero autorevoli, capaci di stare loro vicini, più testimoni che maestri».
Qualcuno ha definito i giovani di oggi “una generazione incredula”, ma la situazione reale appare a questo punto molto più complessa e variegata.
«Assolutamente, i giovani non sono increduli perché non manifestano una risposta religiosa codificata e conforme ai canoni dell’istituzione. Hanno sete di un rapporto con Dio a tu per tu, solitario, che potrebbe trasformarsi positivamente in una forma di spiritualità molto personale, ma perché questo accada dovrebbe essere educato per evitare di essere individualistico, chiuso nella propria coscienza o nel proprio mondo interiore».
Papa Francesco ha deciso di dedicare ai giovani il Sinodo del 2018. Che tipo di occasione rappresenta e qual è il modo migliore per coglierla?
«E’ una grande intuizione dedicare un Sinodo ai giovani. Prima di tutto con l’intenzione di ascoltarli, perché il percorso di preparazione prevede una serie di passaggi in cui sono loro i protagonisti. Lasciare la parola ai giovani, invitarli a dire cosa pensano della vita è un segnale molto forte lanciato al mondo. E’ importante che venga raccolto prima di tutto dalle comunità cristiane. Noi adulti spesso presumiamo già di sapere cosa pensano e vogliono i giovani senza averli ascoltati, ed è uno sbaglio. In secondo luogo sarà importante accettare di mettersi in gioco sulla base delle loro provocazioni e delle loro critiche. E poi decidere di accompagnarli senza pretendere di imporre il nostro modo di vivere la vita e la fede. Accompagnarli vuol dire mettersi al loro fianco ma anche consentire che siano loro a scegliere la strada, affiancandoli con la sapienza tipica di adulti che hanno vissuto e che sono maturati nella loro vita e sanno stare vicino senza condizionare ma anche intuendo qual è la direzione del futuro che attraverso l’esperienza giovanile che si sta delineando. Anche per gli adulti il Sinodo rappresenta quindi un’occasione per riflettere su se stessi e sul modo in cui entrano in relazione con i giovani. È un’occasione che gli adulti possono cogliere se sono disposti ad essere sinceri e autentici”.