A Santa, Bolivia, sulle orme del beato Sandro Dordi:”La sua grandezza è nella semplicità”

Il caldo opprimente della secca estate peruviana e un fortissimo odore di pesce lavorato nelle fabbriche della zona ci accolgono a Santa, piccolo paesino in provincia di Chimbote a sei ore di viaggio a nord di Lima. Sono le 7 del mattino e il sole, già alto, scalda come un forno la piazza principale e chiama a raccolta una quantità impressionante di affamate zanzare che mi ronzano fastidiosamente intorno. Con il caldo lo zaino sulle mie spalle si fa ancora più pesante e trovare un posto all’ombra dove ripararsi dal sole sembra un miraggio. Seduto su un marciapiede, il mio sguardo cade su un manifesto affisso su un palo della luce che riporta il programma dettagliato delle celebrazioni che hanno avuto luogo qualche settimana fa a Chimbote ad un anno dalla beatificazione di fra Michele Tomaszek, fra Zbigniew Strzałkowski e del bergamasco padre Sandro Dordi. Sono a Santa proprio sulle orme di questo piccolo grande uomo, martire della fede, ucciso perché si fece testimone del Vangelo, perché si fece prossimo con gli ultimi.

Accanto alla parrocchiale del Señor Crucificado c’è la casa delle suore Pastorelle da cui vorremmo farci ospitare Martina – la mia compagna di viaggio conosciuta in Bolivia – ed io. Ben presto capiamo che la casa è vuota e che il nostro bussare è vano. Vedo però che il cancellino della chiesa è aperto: entro e vengo accolto dalla signora delle pulizie. Le spiego la situazione: racconto che sono missionario laico a Viloco (Bolivia), che lavoro con padre Antonio Caglioni e che sono a Santa per conoscere un po’ meglio la storia e i luoghi del beato padre Sandro Dordi al quale abbiamo deciso di dedicare una chiesa in una delle nostre comunità; il mio compito sarà quello di affrescarla. Non debbo aggiungere altro: in men che non si dica padre Domingo (il parroco) viene messo al corrente della nostra presenza e subito si mobilita per trovarci un alloggio per tutto il tempo di cui necessitiamo.

Mentre aspettiamo butto il naso nella piccola cappella dedicata a Dordi costruita all’interno della chiesa; è un luogo semplice che però racconta tanto: racconta, con alcune fotografie e con alcune sue frasi, la storia di un uomo semplice ma dal cuore grande che amava stare in mezzo alla gente e che fino all’ultimo ha onorato il compito: quello di farsi pastore e guida tra le pecore; ma racconta anche l’affetto e la gratitudine che la gente di Santa prova a tutt’oggi verso padre Sandro, segno tangibile di amore verso il prossimo.

Assorto nel silenzio della piccola cappella, mi colpisce una frase incisa su pietra che il beato pronunciò qualche tempo prima di essere ucciso: “Yo no puedo abandonar al pueblo que Dios me ha confiado en un tiempo de tanto peligro… El buen pastor da la vida por sus ovejas, como Jesús” (“Non posso abbandonare il popolo che Dio mi ha affidato in un tempo di tanto pericolo… Il buon pastore da la vita per le sue pecore, come Gesù”). A ben pensare, ripercorrendo l’ultimo periodo della vita di padre Sandro, rileggendone le parole ed i pensieri, ci si trova di fronte ad un uomo che in piena coscienza si è “offerto liberamente alla sua passione”: come Gesù nell’orto del Getsemani, allo stesso modo padre Sandro ha accettato, per amore verso la sua gente, il suo martirio. Non l’ha cercato, l’ha accettato. Sendero Luminoso – l’organizzazione terroristica di estrema sinistra operante in Perù a partire dagli anni ’70 – più volte l’aveva avvertito della fine che gli sarebbe toccata se avesse continuato a lavorare al fianco degli ultimi e a nome di quella istituzione (la chiesa cattolica sudamericana) che in quegli anni stava attraversando un periodo di forte rinnovamento. Il nome del vescovo di Chimbote, mons. Luis Bambarén, era tra i primi nella lista nera dei senderisti che osteggiavano qualsiasi figura che lavorasse per una coscientizzazione del popolo peruviano e contro la rivoluzione, compresi sindacalisti, figure politiche e civili. Bambarén e i suoi preti, attraverso quella che viene chiamata teologia della liberazione, si impegnavano nell’aiuto – materiale e spirituale – verso gli ultimi, attirando così su di sé l’odio di Sendero Luminoso.

Spinto da un saldo sentimento di coraggio e determinazione Dordi non si è mai tirato indietro, non è mai scappato di fronte alle minacce e al pericolo. Neanche quando, il 9 agosto 1991, i due religiosi polacchi (fra Michele e fra Zbigniew) vennero assassinati a Chimbote; neanche quando, la mattina dopo, un’enorme scritta apparve sul muro del mercato di Santa: Yankees, el Perù serà su tumba.

“Il prossimo sarò io!” confidò quella sera stessa ad uno dei suoi collaboratori. E infatti, dopo diversi agguati ai quali riuscì a scampare, il pomeriggio del 25 agosto, mentre percorreva in macchina la strada che da Rinconada porta a Santa insieme a due collaboratori, lungo una curva venne fermato con dei massi che ne ostruivano il percorso, fatto scendere dall’auto e giustiziato da due uomini di Sendero Luminoso.

Accompagnato da alcune donne di Santa, una delle quali si è generosamente offerta di ospitarci, percorro in direzione opposta quella strada che taglia la distesa verde di campi coltivati. Arriviamo sul luogo del martirio dove oggi c’è una sorta di edicola votiva a forma di capanna, rinominata Descanso del buen pastor (Riposo del buon pastore); colgo l’occasione per farmi raccontare dalle signore che ci accompagnano chi è stato per loro padre Sandro. È come spalancare un portone di ricordi che scorrono a fiumi dalle loro parole; ognuna di loro ha un’immagine del beato bergamasco che custodisce con gelosia ma che generosamente mi regala con voce emozionata e con gli occhi brillanti di chi ancora si figura davanti a sé una persona che non c’è più. Quello che accomuna tutti i racconti delle persone con cui parlo è un senso di profonda umanità e prossimità che Dordi è riuscito a trasmettere ai suoi parrocchiani negli undici anni di servizio in quel di Santa; “gli piaceva tanto stare con la gente, aiutarla nei problemi quotidiani” mi raccontano. Mentre parlano mi viene in mente un articolo scritto da Tiziano Terzani negli anni della sua permanenza in India in cui racconta il suo incontro con una delle più grandi personalità del secolo scorso: madre Teresa di Calcutta. Il giornalista fiorentino si chiede se esiste ancora la grandezza umana e, se sì, come si esprime. Dopo aver incontrato la santa, Terzani si risponde: “A incontrarla, come nel caso del Dalai Lama, la prima cosa che colpisce è appunto questa: che se c’è grandezza, è nella sua semplicità”. Ad ascoltare le parole di queste donne, mi viene da pensare che anche nel caso di Dordi se c’è grandezza, è nella semplicità.

A una delle signore – soprannominata Cina – sembra ancora di vederlo, padre Sandro, che entra in casa sua e si mette a chiacchierare mentre “ruba” dalla pentola qualcosa da mangiare. E anche per me, che ne ho solo letto e sentito parlare, non è difficile figurarmi nella mente questo piccolo uomo, umile fra gli umili, che prova in extremis a far ragionare i suoi aguzzini: “Por favor, no lo hagan!” (“Per favore, non lo fate!”); che chiede di risparmiargli la vita, di lasciarlo vivere come buon pastore tra le sue pecore, quel gregge che dopo 25 anni ancora gli vuole bene.