Un Islam italiano. Per costruire insieme le nostre comunità

È una notizia passata quasi sotto silenzio ma merita risalto e attenzione. Il Patto nazionale per un islam italiano, è stato firmato dal Ministero dell’Interno. Hanno aderito undici associazioni che rappresentano il 70% delle comunità islamiche italiane. È una tappa di un lungo processo, avviato dieci anni fa, e costituisce un passaggio importante  per quella necessaria e auspicata convivialità delle differenze. Sia per garantire il pluralismo religioso, sia nel contrasto alla radicalizzazione. Il quadro giuridico e culturale nel quale il Patto si fonda è quello tracciato dalla Costituzione, i cui principi chiave fanno da cornice alla dichiarazione.

Il Patto firmato dai mussulmani italiani

Le associazioni firmatarie si impegnano a formare, in collaborazione con altre istituzioni pubbliche, come le Università, gli imam. Questi avranno anche la funzione di mediatori capaci di trasmettere le conoscenze dei valori di convivenza e di laicità dello Stato. Nell’ottica della piena trasparenza, i sermoni saranno tenuti in italiano. I finanziamenti, anche quelli dall’estero, saranno tracciabili. In cambio il ministero si impegna a favorire un percorso che conduca ad una Intesa con l’islam. La religione mussulmana oramai conta, nel nostro Paese, un milione e settecentomila fedeli. Ma è ancora priva di uno strumento che regoli i suoi rapporti con lo Stato. Resta, inoltre, da risolvere dignitosamente la questione dei luoghi di culto.

Come sappiamo, la Costituzione garantisce il diritto di culto. Ma rimangono molte limitazioni, soprattutto, ma non solo, per i mussulmani. Come ho più volte ribadito, una volta nel nostro territorio nazionale gli immigrati sono persone da accogliere. Non solo, ma vanno difesi e rispettati i loro diritti fondamentali. E tra questi diritti vi è, senza alcun dubbio, la libertà religiosa. La stessa che, giustamente, chiediamo a gran voce ai Paesi dove i cristiani rappresentano una minoranza. Il fatto che la gente, come spesso si ripete, abbia paura, non significa che si debba per forza acconsentire con essa nell’identificare le origini di questa paura. Significa, invece, ragionarci sopra, e soprattutto ragionarci insieme. Significa confrontarsi seriamente delle posizioni e non solo ripetere slogan facili e populisti. Che certo portano voti ma non aiutano a vincere le paure e a costruire convivenze.

Conoscere per vincere le paure

Uno degli obiettivi di questo Patto (che in molti hanno definito “storico”) infatti è che diventi più facile e più normale avvicinarsi all’islam senza il pregiudizio negativo di una fede naturalmente violenta e di fedeli prevalentemente fanatici o radicalizzati. Il Patto esplicita due concetti chiave per la nostra convivenza. In un mondo sconcertato dall’estremismo religioso la comunità islamica italiana si impegna pubblicamente a contrastare il radicalismo. E che la cultura, la spiritualità e la tradizione islamica portano un eccezionale contributo alla crescita interculturale della società italiana. Perché come ha scritto Paolo Naso “una cosa è chiara ormai: laddove non c’è integrazione ma ghettizzazione, emarginazione e risentimento sociale, allora lì è più facile che attecchisca il radicalismo. Dove invece c’è inclusione, accoglienza, ascolto, rispetto, integrazione, crescono comunità religiose capaci di offrire contributi straordinari al consolidamento di tutta la società civile” .