Sofia Goggia nell’Olimpo dello sci: la vittoria tanto attesa di una ragazza “con i piedi per terra”

Inizialmente, non la stimavo. Mi pareva l’ennesimo ragazzo giovane che ha fretta di arrivare, si esalta per qualche piccolo risultato e si concentra più sull’apparire piuttosto che sull’essere, sui risultati, sulla sostanza. Poi, come è capitato a molti altri, l’ho incrociata ad un evento che si è svolto a Bergamo. Non aveva la tuta da sci, ma indossava abiti da cittadina. Attorno non aveva telecamere e fotografi, ma gli amici di sempre. L’unica cosa che lasciava intendere che era una sciatrice professionista, era la forza delle sue gambe. Per il resto sorrisi, entusiasmo, anche timidezza, disinvoltura e piacere nel sentirsi a casa. Non ho avuto il coraggio di rivolgerle la parola, salutarla, chiederle un selfie. Mi sono limitato ad osservarla, a scrutarla, ad avvicinarla ed è sbocciata la passione. “Ancora una volta, ho sbagliato a valutare una persona, devo ricredermi” ho pensato. Il mio errore questa volta, si chiama Sofia Goggia che poco dopo il nostro “incontro” ha iniziato ad infilare una serie impressionante di piazzamenti in Coppa del Mondo trascinando il mio tifo a livelli abnormi. E non perché lei stava diventando tra le migliori al mondo ma perché… non lo so dire perché. Quando si parla di tifo, che è un sentimento, non c’è una spiegazione ma ciò che conta è quello che trasmette il cuore. Ebbene, da dopo il nostro “incontro” – che sicuramente ha dato una parte di risposte ai miei “perché?” sul tifo sbocciato per lei – ogni volta che Sofia varca il cancelletto le pulsazioni del mio cuore iniziano ad aumentare vertiginosamente, come raramente mi è capitato per un evento sportivo. Sarà che scende divertendosi, sarà che corre perché le piace sciare, sarà perché ha quello spirito giovane da spadaccina, sarà che l’ho vista senza la tuta da sci e lontana dai riflettori e mi è sembrata una ragazza normale. Ambiziosa e dotata sì, ma coi piedi per terra. Ecco da qui prendo spunto per allacciarmi all’aspetto che più mi ha avvicinato a Sofia, come ragazza e come atleta. Quello che mi ha insegnato – e che a mio modo di vedere deve insegnare a tutti i giovani come lei – è la capacità di attendere, di aspettare, di maturare ogni cosa. Abituati come siamo ad avere tutto e subito, a bruciare le tappe, a non gustare nulla perché bisogna sempre pensare all’obiettivo successivo, ci dimentichiamo troppo spesso di assaporare il dolce (o anche amaro) gusto degli avvenimenti della vita. E invece lei lo ha fatto. Otteneva grandi risultati, mai, però, la vittoria. Seconda, seconda, terza, quarta, seconda, terza e così via. Mai prima. Ha sofferto per questo, giustamente. Ci ha pianto, e come non capirla. Si è incavolata, ed è normale. Ma ha sempre lottato, con fiducia nei suoi mezzi, ma senza mai credersi invincibile o capace di tutto. Si è tappata le orecchie quando i soliti “cialtroni” iniziavano ad etichettarla come “eterna seconda”, che saggezza. E nelle sue parole non c’erano mai frasi fatte, si vedeva che davvero stava attendendo con gusto il suo momento, e tutti sapevano che sarebbe arrivato. Si vedeva bene che, appunto, fremeva per arrivare in vetta, ma sempre con molta razionalità, umiltà, estrema e rara capacità di attendere. Ed ora che il massimo risultato è arrivato, ha lanciato lei stessa un urlo che dalla lontana Corea è arrivato fino alla sua – e nostra – Bergamo. Un urlo dolce, orgoglioso, maturo, assaporato, pensato e sognato. Un urlo di chi ha saputo attendere, un urlo di una ragazza che grazie ad un talento infinito e al suo modo di vivere la vita e lo sci non abbiamo paura di dire che ha aperto una nuova epoca dello sci, dello sport e presenta al mondo un’immagine di Bergamo eccellente in ambito sportivo, capace di trasferire le sue peculiarità della vita quotidiana anche nello sport. Una Bergamo nuova, che non ha paura di sorridere, di essere intraprendente, di vincere, di aprirsi agli altri e di mostrare i suoi talenti.