Papa Francesco: «Il problema dei rifugiati e dei migranti è la tragedia più grande dopo la Seconda guerra mondiale»

“Il problema dei rifugiati e dei migranti oggi è la tragedia più grande dopo quella della Seconda guerra mondiale”. A ribadirlo è stato il Papa, che nei saluti ai fedeli di lingua italiana, al termine dell’udienza, si è rivolto tra gli altri ai partecipanti all’incontro per direttori Migrantes, incoraggiandoli “a proseguire nell’impegno per l’accoglienza e l’ospitalità dei profughi e dei rifugiati, favorendo la loro integrazione, tenendo conto dei diritti e dei doveri reciproci per chi accoglie e chi è accolto”. “Non dimenticate che il problema dei rifugiati e dei migranti, oggi è la tragedia più grande dopo quella della Seconda guerra mondiale”, ha aggiunto Francesco a braccio.
“Invito tutte le comunità a vivere con fede l’appuntamento del 23 e 24 marzo per riscoprire il sacramento della riconciliazione: ’24 ore per il Signore’”. È l’appello pronunciato dal Papa, prima dei saluti ai fedeli in lingua italiana che come di consueto concludono l’appuntamento del mercoledì con i fedeli in piazza San Pietro. “Auspico che anche quest’anno tale momento privilegiato del cammino quaresimale sia vissuto in tante chiese per sperimentare l’incontro gioioso con la misericordia del Padre, che tutti accoglie e perdona”, l’augurio di Francesco per il successo dell’iniziativa promossa in tutto il mondo dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, e che ha avuto un prologo venerdì scorso, nella basilica di San Pietro, con la celebrazione penitenziale presieduta dal Papa, che si è inginocchiato per confessarsi e a sua volta è diventato confessore per quasi un’ora.
“La Quaresima ci chiama alla conversione e alla penitenza; ci indica il digiuno, la preghiera e l’elemosina come via di trasformazione; ci incoraggia all’esame di coscienza con l’umile ammissione delle colpe e la confessione dei peccati”. Lo ha detto il Papa, salutando i pellegrini polacchi presenti all’udienza di oggi, ai quali ha citato una frase di san Giovanni PAolo II, rivolta nel 1981 agli universitari: “Imparate a chiamare bianco il bianco, e nero il nero, male il male, e bene il bene. Imparate a chiamare peccato il peccato, e non chiamatelo liberazione e progresso”.
La Chiesa “non è una comunità in cui alcuni sono di ‘serie A’, cioè i forti, e altri di ‘serie B’, cioè i deboli”. A puntualizzarlo è stato il Papa, che nell’udienza di oggi ha spiegato come la speranza cristiana “si traduce concretamente in condivisione, in servizio reciproco”: “Perché anche chi è ‘forte’ si trova prima o poi a sperimentare la fragilità e ad avere bisogno del conforto degli altri; e viceversa nella debolezza si può sempre offrire un sorriso o una mano al fratello in difficoltà”. “Ma tutto questo è possibile se si mette al centro Cristo e la sua Parola”, l’invito di Francesco: “Perché lui è il forte, è quello che ci da la fortezza, ci dà la pazienza, ci dà la speranza, ci da la consolazione”, ha detto a braccio. “Lui è il ‘fratello forte’ che si prende cura di ognuno di noi”, ha proseguito: “Tutti abbiamo bisogno di essere caricati sulle spalle dal Buon Pastore e di sentirci avvolti dal suo sguardo tenero e premuroso”. “Non ringrazieremo mai abbastanza Dio per il dono della sua Parola, che si rende presente nelle Scritture”, ha concluso il Papa: “È lì che il Padre del Signore nostro Gesù Cristo si rivela come Dio della perseveranza e della consolazione. Ed è lì che diventiamo consapevoli di come la nostra speranza non si fondi sulle nostre capacità e sulle nostre forze, ma sul sostegno di Dio e sulla fedeltà del suo amore”. “Cioè sulla forza di Dio e la consolazione di Dio”, l’ultima aggiunta a braccio.