Dopo le bombe di Trump in Siria. Il grande disordine mondiale e l’Europa

Le molte guerre, calde e fredde

Dopo l’intervento missilistico di Trump in Siria, la guerra siriana è ancora soltanto una guerra civile locale con conseguenze mondiali o una guerra mondiale, limitata – per ora – al solo territorio siriano? Se alla seconda domanda si dà una risposta positiva, quali scenari si aprono per il mondo e per l’Europa? A più di settant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, tornano a soffiare sul mondo venti e culture di guerra. Non che in questi 70 anni non si siano combattute delle guerre. Intanto, “una guerra fredda”, la cui “linea rossa” si rischiò di oltrepassare nel corso della guerra calda di Corea tra il 1950 e il 1953, a Cuba nell’ottobre del 1962 e con l’operazione Able Archer del 1983. Quanto a quelle calde: dalla Corea, al Vietnam, a quelle del Medioriente tra Israele e alcuni Paesi arabi, tra Iraq e Iran, a quelle del Centro-Africa, a quella dell’Afghanistan, fino a Desert Storm e all’invasione dell’Iraq. Quanto alle guerre civili, feroci, basterà ricordare quelle africane o quella jugoslava degli anni ‘90, che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia o a quella siriana, tuttora in corso.

Il disordine mondiale e il ritorno delle singole potenze

La rappresentazione europea di un mondo pacificato era già largamente illusoria, figlia di un eurocentrismo ripiegato su di sé. Ma in questo 2017 simile proiezione immaginaria si sta dissolvendo. L’ordine geopolitico della “Comunità degli Stati”, dentro il quale si svolgeva “il Grande gioco” tra le grandi potenze e quelle regionali intermedie, è degenerato. Caduto nel 1989 il sistema degli stati comunisti, che faceva capo all’URSS, che ha chiuso i battenti nel 1991, tramontata ben presto l’utopia dell’egemonia liberale di un’unica superpotenza, gli USA, ci troviamo nel vuoto di un disordine mondiale, dove tornano a prevalere le singole potenze e la contrattazione conflittuale tra loro, che non esclude più la guerra quale continuazione della politica con altri mezzi.

Le pulsioni nazionalistiche

Rispetto al ciclo dell’ordine mondiale aperto da Yalta, questo disordine vede crescere il numero di Stati, che dispongono di armi nucleari e chimico-batteriologiche. Lo scenario europeo deve registrare la Brexit, episodi ricorrenti di terrorismo stragista, la questione ucraina, quella della Crimea, le tensioni polacche/lettoni, il nazionalismo dei Paesi dell’Est, in particolare di Ungheria e Polonia, l’aggressività putiniana verso l’Unione europea, con il suo tentativo – a quanto pare riuscito – di allineare alle proprie posizioni le forze populistiche europee, in particolare, per quanto riguarda l’Italia, la Lega di Salvini, i Fratelli d’Italia e il M5S. L’Europa è attraversata da pulsioni sovranistiche e nazionalistiche, che alimentano il nativismo etnico, il mito della purezza etnica – soprattutto ad Est – e la paura dell’Altro, che la inquinerebbe. Immigrazioni massicce e terrorismo arrivano nella già quieta Europa da Paesi in collasso, dalla combinazione micidiale del fallimento di organizzazioni statuali e del fanatismo religioso. Quieta fino a ieri.

Tornano gli spettri di inizio ‘900

Di colpo sono tornati sulla nostra scena gli spettri del primo ‘900. La scissione del mondo islamico tra sunniti e sciiti spinge la Turchia, l’Iraq, la Siria, l’Iran, i Curdi alla competizione per un ridisegno dei confini e per una nuova statalizzazione dell’area mesopotamica, all’ombra di una mezzaluna sciita. Gli accordi Sykes-Picot del maggio 1916, la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 sull’Homeland ebraico , il Trattato di Sèvres firmato tra le potenze alleate della Prima guerra mondiale e l’Impero ottomano il 10 agosto 1920 sono diventati, a un secolo di distanza, carta straccia, imbevuta di petrolio, con cui accendere un nuovo falò.

L’invasione dell’Iraq, il dopo invasione, l’ISIS

L’innesco del quale è stato fornito dalla politica sucida di Bush jr. non tanto con l’invasione dell’Iraq, ma con la sua successiva gestione. Lo scioglimento immediato di Esercito e Polizia – più di 1 milione di uomini e di famiglie alle loro spalle – ha generato l’ISIS, che fin dall’inizio si è presentato sulla scena locale e mondiale con ambizioni più grandi di quelle di Al Qaida: come tentativo di costruire uno Stato nel vuoto politico-istituzionale mesopotamico, ricchissimo di acqua e petrolio. Quanto a Israele, il crescente nazionalismo ebraico sta riaggravando, con la fondazione di nuove colonie in Cisgiordania, la questione palestinese. Sulle sponde africane del Mediterraneo, l’implosione dello Stato libico, galleggiante su 150 tribù in lotta tra loro – provocata dall’improvvida politica americana di appoggio indiscriminato alle cosiddette “primavere arabe” e dall’intervento anglo-francese, volto a mettere le mani sul petrolio libico, in concorrenza con l’Italia – ha aperto le porte all’immigrazione dal Centro-Africa.

Le tre  grandi potenze

Lo scacchiere mondiale presenta oggi tre grandi potenze: gli Usa, la Russia, la Cina, ciascuna in frizione con ogni altra. Gli Usa di Trump hanno accelerato la tendenza, che era già di Obama, del disimpegno dal Mediterraneo e dal Medioriente. Stanno abbandonando l’ambizione di un governo mondiale per giocarsi in proprio il ruolo nel mondo, in base ai propri interessi nell’America latina e nel Pacifico. Ora, il bombardamento della base aerea siriana rappresenta una subitanea inversione della tendenza isolazionista americana? Difficile rispondere con certezza a questa domanda! La contraddizione è oggettiva: può una potenza legata da mille fili economici, commerciali e politico-militari all’intero pianeta immaginare di stare al riparo dalle convulsioni del mondo, senza un’idea di governo mondiale e non solitario del pianeta? Se gli Usa legano Giappone e Vietnam, nemici storici della Cina, nell’accordo APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) quali conseguenze per i rapporti con la Cina? La Cina punta al controllo delle Isole Spratly, nel corridoio che porta verso le Filippine e l’intera Asia del Pacifico. L’insorgere in questi giorni della questione nord-coereana e le minacce di Trump di chiuderla in fretta, non escludendo l’opzione militare, trasformano l’area in una polveriera, che rischia di esplodere in faccia all’intera Asia sud-orientale e al mondo intero. Intanto la Russia sta diventando la potenza egemone in Medioriente, alleata con la Turchia, ma anche e soprattutto con l’Iran, ma anche con Israele, al quale ha concesso il riconoscimento di Gerusalemme-Ovest quale nuova capitale dello Stato, mentre tace sulle nuove colonie israeliane.

La guerra non è solo il passato

Se questo è il quadro, l’Unione europea rischia l’insignificanza.  Europa: cioé un’idea di uomo, di civiltà, di rapporto con l’Altro. Certo, funziona come un falso retorico l’inno alla storia, intesa come narrazione, che ci arriva lungo i secoli dal De Oratore, scritto da Cicerone tra il 55 e il 54 a. C.: “Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis” (La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità). A quanto pare, la memoria delle tragedie non è un motore sufficiente di mobilitazione delle intelligenze. E, inoltre, i giovani sono naturaliter privi di memoria. È la loro forza, d’altronde. E, tuttavia, l’intelligenza del presente è necessaria e accessibile a tutti. Basta guardar fuori nel mondo per rendersi conto dei rischi del tempo storico presente. La guerra non è solo il passato, può essere anche il futuro. Lo disse Mitterrand al Parlamento europeo. Lo ha scritto Samantha Power, già ambasciatrice americana all’ONU, in un articolo per Project Syndicate del 2002: “Se la storia ha una funzione predittiva, una nuova eruzione di brutalità di massa potrebbe essere imminente”. Camminare come sonnambuli nel disordine mondiale o provare a costruire con l’intelligenza e con il cuore un nuovo ordine, questa l’alternativa, che si profila. È in questo disordine che la posta in gioco delle elezioni in Francia, Germania, Italia si fa più chiara.