“Tutto può succedere”: dal 20 aprile su Rai Uno la seconda stagione della fiction con Maya Sansa e Pietro Sermonti

Da giovedì 20 aprile su Rai Uno, per 13 prime serate, arriva la seconda stagione di “Tutto può succedere”, una coproduzione Rai Fiction e Cattleya, ispirata alla serie statunitense “Parenthood”. Diretta da Lucio Pellegrini e Alessandro Angelini, la fiction è interpretata da Maya Sansa, Pietro Sermonti, Ana Caterina Morariu, Alessandro Tiberi, Camilla Filippi, Giorgio Colangeli e Licia Maglietta.

Nella presentazione in anteprima nella sede Rai di Roma, nei giorni scorsi, il direttore di Rai Fiction, Eleonora Andreatta, ha sottolineato: “Un prodotto importante per il nostro comparto fiction, un family drama che affronta la contemporaneità, l’oggi, sostenuto da una grande scrittura. La serie ha contribuito a rinnovare il genere family della fiction Rai, con un’attenzione al pubblico giovane, sia per le storie delineate che per la valorizzazione di gruppi musicali indie”. Parlando di musica, sono da ricordare le collaborazioni con: Paolo Buonvino (colonna sonora originale), Giuliano Sangiorgi e i Negramaro, Raphael Gualazzi, Thony, Calcutta, Samuele Bersani (con un cammeo nella serie).
“Tutto può succedere” rappresenta inoltre “il risultato di un processo di innovazione e di uno sguardo sulla contemporaneità, per la rete e per la stessa Rai Fiction”, ha dichiarato il direttore di Rai Uno, Andrea Fabiano. “Un traguardo significativo – ha rilanciato Riccardo Tozzi, di Cattleya – anche sotto il profilo industriale, con un processo di scrittura e lavorazione ben rodato, che ci ha permesso di mettere in onda i nuovi episodi ad appena un anno dalla prima serie”. Il team di lavoro è già all’opera nella scrittura della terza stagione. Ma veniamo alle novità narrative di questa seconda stagione.

La famiglia Ferraro resta unita nonostante i problemi

Protagonista è sempre la famiglia Ferraro di Roma, a Fiumicino, un clan composto da due genitori grandi, Emma (L. Maglietta) ed Ettore (G. Colangeli), quattro figli adulti – Alessandro (P. Sermonti), Sara (M. Sansa), Giulia (A.C. Morariu) e Carlo (A. Tiberi) – con relative famiglie, tra coppie sposate con figli, genitori single o convivenze. Attraverso questa famiglia numerosa gli autori – Filippo Gravino, Guido Iuculano, Michele Pellegrini, Federica Pontremoli e Isabella Aguilar – ci accompagnano nella lettura della società, tra le difficoltà che costellano il quotidiano: la perdita improvvisa del posto di lavoro, il rischio di veder finire nelle secche un matrimonio, l’arrivo di un nuovo figlio oppure la scoperta di non poter essere genitori. Ancora, l’incertezza e il senso di smarrimento degli adolescenti, il pericolo del bullismo e delle droghe facili, ma anche l’urgenza di sentirsi realizzati, la fretta di trovare il proprio posto nel mondo. C’è tutto questo nella seconda stagione di “Tutto può succedere”,
problemi corposi declinati però con umorismo e uno sguardo di fiducia.
Nonostante alcuni eccessi narrativi o ingenuità nella prima stagione, la fiction conquista proprio per la sua capacità di raccontare una famiglia contemporanea che dinanzi a tante sfide, piccole e grandi, non arretra di un passo, bensì rimane unita e solida. Una famiglia certo problematica e molto incidentata, ma pur sempre una famiglia unita che si barcamena per restare insieme e guardare con fiducia al domani.

L’autismo raccontato con rispetto e semplicità

Uno dei pregi narrativi di “Tutto può succedere” è quello di aver dato ampio spazio al tema dell’autismo. Nella storia, la coppia formata da Alessandro e Cristina (Camilla Filippi) è chiamata a prendere atto che il loro bambino preadolescente, Max (Roberto Nocchi), è diverso dagli altri, che è affetto dalla sindrome di Asperger.
La fiction non risolve in maniera sbrigativa il problema in un episodio, bensì ne ha fatto una delle linee narrative portanti della serie: la scoperta del problema, lo choc, la reazione e la normalizzazione.
Nella nuova stagione i due genitori si troveranno davanti a una nuova sfida, spiegare al proprio figlio cosa significa avere la sindrome di Asperger e trovare un passo nuovo, ovvero impostare la vita familiare nel segno di una nuova normalità e non più dell’emergenza.

“Tutto può succedere” offre pertanto un contributo significativo nel presentare al grande pubblico una patologia diffusa però non troppo presente nel panorama narrativo italiano. In particolare, gli autori hanno voluto mostrare come la famiglia riesca a rapportarsi con la malattia passo dopo passo, senza farsi schiacciare o disperdere, ma trovando il coraggio e la forza di abbracciare il problema insieme. Come in “Braccialetti Rossi” o “I ragazzi del Bambino Gesù”, l’occhio della macchina da presa non si sottrae più dinanzi alla malattia, ma la fronteggia con uno sguardo edificante e persino educational.

(*) Commissione nazionale valutazione film Cei (*)