I cattolici italiani inginocchiati davanti a Grillo? La discutibile intervista del direttore di Avvenire

Foto: il cardinale Camillo Ruini

Si fa fatica a credere che l’intervista rilasciata due giorni fa al Corriere della Sera dal Direttore dell’Avvenire, giornale dei cattolici italiani, rifletta solo le opinabili opinioni del sig. Marco Tarquinio. Il quale sottolinea la vicinanza dei cattolici italiani al M5S: avrebbero lo stesso programma almeno per i tre quarti, per quanto riguarda le questioni del lavoro e la lotta alla povertà. Rimarrebbe un quarto di dissenso relativamente alla politica estera e all’Europa e alle questioni della bioetica. Di fronte alle immediate contestazioni, il Direttore ha dichiarato al Sir (Servizio di Informazione Religiosa): “So che alcuni miei giudizi hanno sollevato parecchi interrogativi e non poche perplessità, anche in ambito ecclesiale. La Chiesa italiana è attenta a tutte le forze politiche che si impegnano per il bene comune, con riserva di valutarne di volta in volta le singole scelte. Personalmente e professionalmente non voglio fare di più e non mi sento di fare di meno”.

In realtà, poichè L’Avvenire è un termometro sensibile di ciò che accade nella Chiesa italiana e tra i cattolici, è evidente che l’intervista rispecchia l’orientamento di settori della gerarchia e del multiverso cattolico. Nascondere la mano, dopo aver scagliato legittimamente il sasso, sa di pentimento forzato e non richiesto. Ma, ciò che conta è il merito, appunto. A proposito del quale, basteranno qui tre osservazioni.

La questione del riposo alla domenica e il reddito di cittadinanza

La prima: la preoccupazione di salvare la domenica come “giorno del Signore” e, aggiungiamo noi, dell’”homo religiosus” e quella connessa di riorganizzare i tempi e il mercato del lavoro, in relazione alle nuove opportunità e, nell’immediato, alla falcidia di posti di lavoro, dovuta alle nuove tecnologie, è pregnante, benchè non originalissima. Negare il problema sarebbe da struzzi. Ma le soluzioni, tutte al momento provvisorie e discutibili, non possono certo ridursi al reddito di cittadinanza, per due semplici ragioni: che, essendo la coperta della spesa pubblica troppo corta, se si tira dalla parte del reddito di cittadinanza, occorre lasciare scoperti altri settori; che occorrono più soldi per allargare la coperta. Per una coperta più grande occorre non solo aumentare la produttività del sistema, ma anche e contemporaneamente abbattere spese improduttive e parassitarie, introdurre competizione e concorrenza, riformare la burocrazia e la giustizia amministrativa. Viceversa, la ricetta grillina consiste in un’estensione invasiva, ma finanziariamente insostenibile dell’intervento statale.

Questa linea è coerente con il sovranismo/nazionalismo di ritorno e con la diffidenza – ma si tratta di eufemismo – conclamata verso gli organismi internazionali, a partire dall’Unione europea e dalla BCE. Statalismo nazionalista e protezionismo verso l’estero si tengono la mano. Peccato che l’economia globale, piaccia o no, abbia travolto i confini degli Stati, compresi gli Usa: non c’è più autosviluppo dei singoli stati nazionali. Il keynesismo fondato sul deficit spending è stato possibile solo dentro una rigida sovranità degli Stati nazionali. Peccato che l’economia non rispetti le frontiere. C’è un solo modo per addomesticarla: creare regole e istituzioni internazionali. A economia globale istituzioni globali. L’esatto contrario del sovranismo che batte alle porte.

Dietro a questa convergenza “cattolica” con il M5S sta, forse, una nostalgia della vecchia DC. Del resto anche Bersani ha sostenuto la tesi che il M5S sarebbe una sorta di moderno partito di centro, insomma la Dc del nuovo millennio. Purtroppo non esistono più le condizioni di scialo possibile di spesa pubblica per tenere in piedi il sistema. Che intanto ha portato il debito pubblico al 132% del PIL. Con un simile carico sulle spalle delle generazioni presenti, ma soprattutto future, il Paese non riesce più a fare un passo. Perciò non nascerà più una nuova DC.

Silenzio sul tipo di regime previsto dal M5S. Fine del cattolicesimo liberale

La seconda: impressiona il silenzio assordante di Tarquinio sul tipo di regime che il M5S vorrebbe instaurare in Italia, demolendo ciò che resta della democrazia liberale e della conseguente distinzione dei tre poteri. Il Direttore dell’Avvenire e chi sta dietro di lui non vede la natura profondamente totalitaria e illiberale del modello della cosiddetta “democrazia diretta”. Siamo tornati all’indifferenza della Chiesa – durata fino al Radiomessaggio natalizio di Pio XII del 1944 – rispetto alla democrazia liberale? Nostalgie di totalità organiche in cui il popolo è rappresentato come una sorta di Corpo mistico, debitamente laicizzato da Grillo? O il ritorno di un’illusione condivisa da molti cattolici e liberali nel 1922, quella di utilizzare il M5S come scopa da usare provvisoriamente per eliminare la “casta” per poi rimetterla nel sottoscala? Ciò che viene spazzato via è, per ora, il cattolicesimo democratico.

La Chiesa usa della politica per i propri scopi

La terza: il sospetto più forte resta tuttavia un altro. Che dentro la Chiesa italiana ritorni l’idea di usare la politica per i propri legittimi scopi. La vicenda del rapporto tra la Chiesa di Ruini e Berlusconi dovrebbe aver insegnato qualcosa ai cattolici e ai loro vescovi: che non esiste nessun “Defensor fidei”; che una comunità ecclesiale che usi le stampelle del potere politico perderà la fede invece che rafforzarla. Se per praticare questo uso della politica, la cultura politica dei cattolici perde la faticosa conquista della democrazia liberale e se si adegua all’idea di un Bene comune, quale somma di tutti i Beni particolari di ciascun individuo e di ciascuna corporazione – questo è il grillismo reale – allora i cattolici sono destinati ad assecondare il declino del Paese. Forse salveranno la domenica, ma perderanno gli altri giorni.