Riflessioni “pasquali”. Il confessore concede il perdono, non dirige il penitente

I legittimi poteri dei confessori

l terzo precetto della Chiesa dice di “confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi almeno a Pasqua”. Le due parti del precetto, nella pratica, vengono quasi sempre abbinate per il fatto che la Confessione è comunemente ritenuta il lasciapassare per la Comunione. Per cui il tempo di Pasqua è il tempo in cui i fedeli si confessano di più.

In occasione della Pasqua scorsa, mi sono confrontato col parroco di Belsito sul modo di esercitare il nostro non facile ministero. Ho scoperto che egli ha la tendenza a porsi davanti ai penitenti con autorità “dirigenziale”. Arriva al punto di permettersi in qualche caso di imporre loro, “per virtù di santa obbedienza”, delle scelte in un senso o nell’altro a suo giudizio. Al che, pur con tutto l’affetto e la stima che ho per lui, mi son sentito in dovere di dirgli che su questo sono totalmente in disaccordo..

Il confessore, secondo me, ha come primo e quasi esclusivo compito quello di amministrare il perdono di Dio con l’assoluzione. Oltre all’assoluzione tra il penitente e il confessore si può poi stabilire, e di solito si stabilisce, anche un colloquio spirituale che serve al penitente di incoraggiamento, di conforto, di ammonizione e quant’altro. Qualcuno lo chiama direzione spirituale, col rischio però di mettere in mano al confessore il verbo “dirigere” che potrebbe portarlo ad esorbitare, come, a quanto pare, sta facendo il parroco di Belsito.

È escluso il potere di dirigere

L’amico non voleva accettare in nessun modo quello che gli dicevo. Era fermo al concetto di direzione spirituale quale gli era stato inculcato in seminario. Naturalmente raccomandatissima la direzione spirituale, così come la fiducia nel direttore spirituale. E necessaria l’obbedienza totale nei suoi riguardi, perché “chi obbedisce non sbaglia mai”. Con malcelata energia mi chiese: “Come ti puoi permettere di sovvertire un insegnamento così importante che ci è stato dato in seminario?”.

“Lo faccio – gli risposi a tono – in base a quello che ho sentito anch’io in seminario dal nostro professore di teologia, Mons. Alberto Bellini. Egli ci faceva notare che, se il confessore e il direttore spirituale avessero un potere “direttivo” sui penitenti, il vero governatore della Chiesa non sarebbe il Papa, ma  il suo confessore. E questo, teologicamente, è inammissibile!».

Per me questa osservazione stata rivelatrice e desideravo che giovasse al mio amico come a me.

I danni causati da confessori “direttivi”

Quand’ero in Svizzera con gli emigranti, una sera mi trovai a cena con un gruppo di confratelli elvetici, presente anche il Vescovo. Il discorso andò a finire sulla confessione, perché in diocesi si andava diffondendo, senza approvazione vescovile, la pratica delle celebrazioni penitenziali che finivano con l’assoluzione generale senza l’accusa personale dei peccati. Il Vescovo taceva. Forse non riteneva quello, a tavola, il luogo più adatto per definire la questione.

Ad un certo punto, un anziano sacerdote, veramente venerando, (anche il Vescovo ne aveva un evidente affettuoso rispetto), uscì a dire che, secondo lui, la Confessione individuale aveva di sicuro fatto un sacco di bene alla Chiesa. Per questo riteneva giusto continuare a praticarla. Ma essa aveva fatto anche dei danni non da poco. La grave crisi della confessione individuale aveva le sue buone ragioni a cui in qualche modo sarebbe servito porre rimedio. Fummo tutti stupiti che una critica tanto severa alla Confessione venisse da una fonte così inattesa. Ma l’anziano sacerdote insistette serenamente: “Pensate anche solo alla mainmise di tanti di noi preti sulla coscienza dei fedeli”.

Il Vescovo stesso – lo vidi bene – annuì con sincerità. Rientrato a casa, andai subito a cercare sul vocabolario il termine mainmise e trovai che significa “manomissione” e “sequestro” e mi resi conto di quanto fosse stato importante quello che avevo vissuto con i miei confratelli e col Vescovo.

Conversando con l’amico di Belsito arrivammo finalmente ad essere d’accordo che il confessore non ha e non deve assumersi nessun compito direttivo nei confronti dei penitenti, ma può avere, questo sì, un prezioso compito come consigliere per aiutarli ad assumersi, con illuminata coscienza, la responsabilità delle proprie decisioni e delle proprie scelte.