BergamoFestival «Fare la pace»: anche la musica aiuta a combattere la paura e il qualunquismo

Musica e filosofia contro le paure e il qualunquismo. Siamo tornati fra i banchi di scuola ieri alla serata di inaugurazione del Festival della Cultura di Bergamo «Fare la pace: paure locali, risposte globali. Il coraggio di progettare il futuro». In cattedra, anzi sul palco del Centro Congressi Papa Giovanni XXIII il trio jazz capitanato da Massimo Donà, trombettista e docente universitario di Metafisica e Ontologia dell’arte presso la facoltà di filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, già collaboratore negli anni novanta di Massimo Cacciari alla IUAV di Venezia alla cattedra di Estetica. Una performance che ha dato il via a un calendario con più di 30 eventi in programma fino al 14 maggio.

«È un’ellissi di due fuochi, la riflessione proposta dal Festival: uno rappresentato dalle paure, l’altro dalle risposte» introduce monsignor Davide Pelucchi, vicario generale della Diocesi di Bergamo. I timori della nostra società si vincono con l’amore, che rassicura l’uomo. «La pace è un dono di Dio, ma spetta all’uomo mantenerla, costruirla» sembra fargli eco don Fabrizio Rigamonti, direttore dell’ufficio diocesano per la pastorale della cultura: «In questa complessità che sembra sfuggire al controllo democratico ci si offre una possibilità di discernimento dei nodi più significativi dell’attualità tramite una lucida lettura critica per evitare facili e ingannevoli scorciatoie». Dello stesso parere il vicesindaco Sergio Gandi: «Ringrazio il Festival della Cultura perché stimola il pensiero per non rimanere vittime della quotidianità. È una risposta forte al senso diffuso di disagio del cittadino per l’assenza di risposta dei governi nazionali a problemi generati dalla globalizzazione, in primis l’immigrazione. La contrazione dei sistemi di sicurezza sociale, il senso di comunità vissuto in maniera retriva non sono capaci di generare capacità decisionale». Il punto fondamentale della politica oggi è agire sul territorio a diversi livelli istituzionali e mettere in rete varie estrazioni sociali per favorire coesione, equità e giustizia sociale. È necessario riscrivere le regole della convivenza per ridurre divari e disuguaglianze, tutelare le vittime della globalizzazione e punire chi si è avvantaggiato.

Ieri sera la filosofia e il jazz si sono rincorsi e a volte fusi in una lezione atipica volta a decostruire le paure dell’essere umano contemporaneo nell’era del neoliberismo, dei nuovi autocrati e delle grandi migrazioni. Dagli antichi greci a Dante, passando per Leo Strauss, Munch e i filosofi nostrani Andrea Emo ed Emanuele Severino, la lettura espressiva a tratti ironica di Donà ha dato vita a uno show trascinante, un percorso del pensiero e dell’anima con protagonisti la parola e i suoni significanti del sassofonista Michele Polga, del batterista Davide Ragazzoni e dello stesso Donà con brani tratti dall’album realizzato insieme «Il santo che vola», dedicato a San Giuseppe da Copertino.
Il professore ha guidato il pubblico attraverso le proprie paure in un vero e proprio percorso iniziatico: «C’è un fondo di inconoscibilità nel mondo e in noi stessi, un’estraneità: noi non scegliamo di nascere ma siamo dati a noi stessi ed abbiamo paura di noi stessi, della parte che non conosciamo. Ognuno ha un’unicità che cerchiamo disperatamente di dire». Parte da qui, da noi stessi, il viaggio verso l’ignoto, la sfida che ci dà occasione di renderci degni della nostra natura, confrontandoci con l’umano. Le paure non sono mai per qualcosa che ci sembra di vedere ma sono nella testa, in ciò che diciamo di vedere ma che il nostro dire e testimoniare non riesce ad afferrare mai. Non conosciamo, ma ri-conosciamo sempre dei concetti che sono nella nostra testa. La realtà è doppia, ambivalente, e ci parla innanzitutto di ciò che non riusciamo a dire e a vedere. Perciò è il provare meraviglia all’origine della filosofia, il “thaumazein”. In esso a risuonare è proprio il terrore, l’inquietudine. La realtà ci scuote, è in divenire e ciò che ci è dato potrà sempre essere messo in discussione da ciò che verrà. Per questo l’essere umano avrebbe creato il “pharmakon”, la filosofia, per guardare l’imprevisto a partire da un sapere, ossia l'”episteme”, ciò che sta, è stabile e ci garantisce ciò che sarà.
La tecnologia ci ha reso impazienti, le distanze sono state cancellate e i giovani vogliono tutto e subito: il tempo è diventato un inciampo. Ma il percorso iniziatico ha bisogno di tempo, divagazioni e differimenti, se non si rallenta non c’è riflessione ed è qui che entra in gioco musikè, che permea di sé ogni significato e che stabilisce col proprio ritmo relazioni, un po’ come fa la filosofia con gli oggetti del suo studio. Ed è proprio la musica che ieri sera è riuscita a sconfiggere la superficialità dei nostri tempi, dalle discussioni sui social al populismo e alla miopia della politica.