Romano di Lombardia, al Museo di Arte e Cultura Sacra l’arte barocca di Gian Giacomo Barbelli per «Un’opera al mese»

I dipinti realizzati nel Seicento dal pittore cremasco Gian Giacomo Barbelli sono stati al centro di una domenica all’insegna dell’arte. È il terzo appuntamento dell’iniziativa «Un’opera al mese» promossa e organizzata dal Macs, Museo di Arte e Cultura Sacra di Romano di Lombardia.

«La penultima tappa di questo cammino svolto in punta di piedi per favorire la conoscenza approfondita delle opere interne al MACS» commenta Don Tarcisio Tironi, che è stato anche fondatore del Museo, e aggiunge «quando arrivai come parroco nel ’97, le opere che ora sono esposte qui appartenevano alla Chiesa di San Defendente e riguardavano prevalentemente pittori dell’ambito cremonese e cremasco». Tra questi, c’è Gian Giacomo Barbelli che, secondo il giudizio di Roberto Longhi, è considerato l’unico pittore del periodo barocco in Lombardia. Nasce a Offanengo (Crema) il 17 aprile 1604 da Giovan Angelo e Maria Malosa.

Il cognome Barbelli pare che sia un soprannome assegnato alla famiglia del pittore fin dal XVI secolo e la cui derivazione dialettale era barbèl che significa farfalla notturna. Successivamente, viene sfruttato dal pittore per firmare tutte le sue opere e poi dai figli come cognome ufficiale della famiglia. Ma le voci paesane narrano invece che il soprannome Barbelli derivi da barbelà, ovvero avere freddo, in quanto la famiglia, seppur agiata, pare non riscaldasse la casa per tirchieria e per questo gli occupanti tremavano dal freddo.

Gian Giacomo Barbelli comincia la sua carriera artistica molto giovane, a soli 18 anni, a Crema nella bottega di Tomaso Pombioli dal quale apprende le caratteristiche della pittura barocca, quali lo stile prezioso nella scelta dei colori e la fantasia interpretativa. La prima opera di Barbelli è datata 1622 e si intitola Liberazione di San Pietro dal carcere da parte di un angelo. Da questo primo quadro emerge «un’impostazione ancora di tradizione accademica per il richiamo ai pittori classici come Giulio Romano e Raffaello, all’interpretazione manieristica e all’abbigliamento cinquecentesco come quello indossato dall’angelo. Ma, se guardiamo il volto di Pietro, rispetto alla pittura classica, il pennello di Barbelli è veloce e curato al tempo stesso. Unisce l’impostazione accademica del disegno allo slancio della pittura veneta cui caratteristica principale è dipingere direttamente sulla tela senza fare disegni preparatori con lo scopo di indicare il dinamismo della figura e la vibrazione dei pennelli» commenta don Giovanni Gusmini, docente, che ha guidato l’incontro di domenica al Macs.

A seguire, Gian Giacomo Barbelli si trasferisce dal 1625 al 1630 a Milano e contemporaneamente lavora tra Valtellina e Alto Lario acquisendo capacità e fama. Nel 1630, a Molignano, Barbelli dipinge una tela in cui raffigura nella parte alta la Trinità e nella parte bassa San Sebastiano e San Rocco che sono i santi invocati contro la peste. In questo quadro emergono «un rincorrersi di figure diagonali, il richiamo al dinamismo e alla lezione del pittore Tiziano» spiega Don Giovanni Gusmini. Nello stesso anno, Barbelli fa ritorno a Crema stabilendosi nella parrocchia di San Giacomo e sposa Angelica Bassa; da quel momento comincia a lavorare su numerose commissioni locali consolidando la sua maturità pittorica che trae ispirazione dall’arte illusionistica veronese, tosco-romana e fiamminga. Infatti, per tutto il decennio, dal 1630 al 1640, l’attività di Barbelli è molto intensa tra le città come Brescia, Crema, Lodi e San Colombano al Lambro e per questo Barbelli allestisce una bottega nella quale lavorano Evaristo Bachenis e più tardi due dei suoi otto figli, Carlo Antonio e Giovan Angelo. In particolare, nel 1639, Barbelli dipinge Annunciazione che tutt’ora è conservata nell’archivio della parrocchia di Sant’Alessandro in Colonna a Bergamo; nel quadro è presente una sovrapposizione tra lo spazio riservato alla Madonna e quello dell’angelo.

Anche durante gli anni quaranta del Seicento, l’attività artistica prosegue molto intensa per Barbelli. Infatti, dal 1642 lavora al ciclo di affreschi nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Crema. Barbelli dipinge la cupola e altre stanze rappresentando scene differenti: «sulla cupola è raffigurato l’assunzione di Maria in cielo dove Maria è al centro e un turbinio di angeli la circonda, mentre sull’altare è rappresentata la fuga in Egitto che è un momento molto amato dai pittori perché danno spazio alla loro fantasia interpretativa, infatti Barbelli riproduce una scena campestre» racconta Don Giovanni Gusmini e aggiunge «tant’ è vero che gli animali, la natura e gli angeli rappresentati nel quadro sembra che offrano ristoro a Maria, Giuseppe e a Gesù bambino».

Ma, tra il 1646 al 1647, Barbelli lavora per le chiese della provincia di Bergamo: la chiesa di San Lazzaro, di San Rocco, di Santa Maria Brambella a Lovere, di Gandino e di Albino. In questi dipinti emerge un altro elemento della pittura barocca, «l’emotività evidente non più interiore nel volto dei personaggi raffigurati soprattutto in momenti di devozione sacra» spiega Don Giovanni Gusmini e aggiunge «ma anche i colori vivaci, la fantasia paesaggistica e la mescolanza col profano come nel dipinto di San Francesco agli uccelli». Poi, nel 1649, Barbelli lavora in due palazzi molto importanti di Bergamo: Palazzo Moroni e Palazzo Terzi. In Palazzo Moroni, Barbelli affresca diverse stanze tra cui il soffitto raffigurando personaggi appartenenti al mondo sacro e al mondo profano: le virtù della famiglia Moroni, Urano con la falce, San Pietro pieno di rimorsi che tiene tra le mani un cuore avvolto da serpentelli e Giove che colpisce i Giganti. E ancora, nel 1653, Barbelli dipinge numerose tele raffiguranti santi quali San Nicola da Tolentino, San Bernardino da Siena, Sant’Antonio da Padova, San Barnaba e San Ludovico Tolosa, la Madonna Immacolata con San Rocco e San Sebastiano e il Compianto Cristo morto.

E infine, nel 1655, Barbelli viene chiamato a Calcinato nei pressi di Brescia per affrescare Palazzo Mercanda con quadri mitologici come quello che raffigura Mercurio che conduce Giove, Venere, e Minerva al suo seguito ma il 7 luglio 1656 viene colpito da una archibugiata durante una battuta di caccia morendo cinque giorni dopo.

Comunque, nel 1655, Barbelli dipinge una coppia di quadri per l’Oratorio dei Disciplini: Flagellazione e Incoronazione di spine. «Il dipinto Flagellazione è una tela verticale che ha come caratteristiche il richiamo alla pittura accademica unita a quella barocca per l’espressione di docilità sul volto di Gesù che si abbandona alla violenza dei carnefici e per la scelta dei colori utilizzati quali il bianco lunare per il corpo di Gesù e le tonalità scure per i carnefici mentre nel quadro Incoronazione di spine c’è una rapidità nel maneggiare il pennello, il colore rosso del velo che avvolge Gesù, un soldato addormentato e in fondo a destra un piccolo scudiero con lo sguardo rivolto allo spettatore portandolo a meditare su un evento storico come la Passione di Gesù» conclude Don Giovanni Gusmini.

Ma non è tutto, per continuare ad ammirare i quadri di Barbelli, «a Romano di Lombardia, sopra la sede di Ubi Banca sono presenti degli affreschi allegorici che raffigurano le regioni d’Italia» afferma Don Tarcisio ricordando infine ai presenti il conclusivo appuntamento di «Un’opera al mese», previsto domenica 4 giugno alle 17 in compagnia di Don Giuliano Zanchi, Segretario generale della Fondazione Bernareggi che commenterà Tre crocifissi di Franco Normanni.

Nella foto un particolare della Flagellazione di Barbelli esposta al Macs di Romano