Populismo e nazionalismo. Distinguere per capire

Foto: Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord

Trump è populista o nazionalista o tutt’e due? E Marine Le Pen? E Salvini? E Grillo? Gli interrogativi non sono accademici, perchè, a seconda delle risposte, variano le strategie di contenimento. Populismo e nazionalismo sono due culture e due politiche diverse, cui si deve una risposta differenziata. Se quei significati vengono usati nel dibattito pubblico in modo troppo esteso, perdono di intensità esplicativa.

Da Rousseau a Grillo

Rousseau è indubbiamente il fondatore del populismo quale filosofia politica. L’uomo è buono per natura; la società lo fa diventare cattivo. Il popolo è buono e virtuoso per natura; le élites politiche sono criminali e corrotte. Perciò vanno eliminate, sostituendole con élites “di popolo”. E se anche queste funzionano male? Allora è colpa di complotti esterni o di tradimenti. Ma è meglio che scompaiano, sostituite dall’autorappresentanza di ogni individuo nella democrazia diretta: “uno vale uno”. Essa sola esprime la sovranità popolare o la Volonté générale. Questa si incarna in un’Assemblea elettiva, che esprime un Direttorio, che è titolare del potere legislativo, esecutivo, giudiziario. Il giacobinismo ha realizzato questo modello nel corso della Rivoluzione francese. Poi dal Direttorio è uscito un imperatore. Tecnicamente praticabile solo in piccole comunità – sul prato svizzero del Grütli, anno 1291 – oggi la democrazia diretta sembra a portata di mano attraverso le tecnologie informatiche. L’epifania della Volontà generale è quella di Venere che emerge dal mare dei bit! Essa supera la divisione liberale dei poteri legislativo, esecutivo, giudiziario, aggira ogni intermediazione.

Eliminare le classi dirigenti solo perché dirigenti

Lo specifico del populismo contemporaneo – nella sua versione più pura: quella del M5S – è il programma di eliminazione delle classi dirigenti non in quanto fallimentari, ma in quanto dirigenti. Il M5S non si propone di sostituire l’attuale classe dirigente (politica, economica, intellettuale…), ma di toglierla di mezzo, di renderla inutile, bypassandola con l’espressione diretta della volontà dei cittadini, per via di referendum informatico quotidiano. A questo punto neppure il Parlamento e il Governo servono più. Insomma: un tentativo di “spaccio” – “la cacciata”, traducendo l’espressione di Giordano Bruno – delle Bestia (liberal-democratica) trionfante. Nel nuovo scenario: i cittadini si autorappresentanto, i computer elaborano i loro pareri mediante algoritmo, una macchina amministrativa li rende esecutivi.

Dopo Marx, Stalin. In attesa del regime 5 Stelle

Previsione già fatta da George Orwell nel 1949 nel libro intitolato “1984”… Occorre ricordare che anche il sogno marxiano del comunismo come società di liberi ed eguali prevedeva qualcosa del genere. Il primo bolscevismo – quello della cuoca “che può governare” di Lenin – è stato la sua continuazione nei tempi moderni. Poi, Stalin ha rispedito la cuoca in cucina o più probabilmente in Siberia. Tuttavia, in quella teoria si rendeva necessario un periodo breve, ma duro, di transizione: la dittatura del proletariato.

La quale, ben lungi dall’estinguersi naturalmente, ha costruito le condizioni per la propria perpetuazione per sette decenni. Potrebbe essere questo anche l’esito di un eventuale regime a 5 Stelle? È inevitabile. Il fallimento delle ricette marxiane per “le osterie dell’avvenire” non ha impedito a Gianroberto Casaleggio di scrivere altre ricette alla Comte e di proporsi come il nuovo Di Bella che le propinava e a Grillo di spingere in avanti un’improbabile nuova classe dirigente. Provvisoria?!

I 5 Stelle sono populisti. Trump, Le Pen, Salvini no

Qui ci addentriamo in quel tentativo di indagare sul totalitarismo quale risposta al rapporto patologico che si è instaurato nella modernità tra le masse e le classi dirigenti, già esperito da Elias Canetti o Hannah Arendt. Basti qui una prima conclusione: l’unico populismo che conosciamo in Europa è quello del M5S. E allora, Trump, Le Pen, May, Farage, Salvini… come li classifichiamo? Sono nazionalisti. Il nazionalismo non è populismo, anche se il populismo porta fatalmente al nazionalismo, come confermano le recenti interviste di dirigenti (o meglio non-dirigenti del non-partito grillino) sull’Europa, sulla Nato, sull’Onu, sull’Euro. Il popolo non è l’umanità, è una nazione-Stato.

Per i neo-nazionalisti il multiculturalismo, l’internazionalizzazione, il globalismo, il meticciato e, pertanto, l’immigrazione causano la rovina delle nostre società e della civiltà europea e occidentale. È detto anche sovranismo. Rispetto alla perdita di potere nazionale sui movimenti della finanza, dell’economia, della moneta, si tratta di recuperare la sovranità nazionale nei confronti di ogni organismo sovrannazionale, dall’Onu all’UE e alla Nato, dal Fondo monetario internazionale alla Banca mondiale. Sul piano socio-culturale, si fa valere il principio “una nazione, uno Stato”.

Le conseguenze inevitabili: antisemitismo, pulizia etnica, guerra

L’antisemitismo, la pulizia etnica e la guerra sono le conseguenze fatali, che la storia ha già sanguinosamente dispiegato nel secolo che sta alle nostre spalle e che stanno tornando, dagli Urali all’Atlantico. Tuttavia, la rivolta contro le attuali classi dirigenti in Europa e negli Stati uniti non è riconducibile al populismo. Né la Brexit, né Trump, né Le Pen, né Afd (Alternative für Deutschland) né Salvini sono populisti: vogliono semplicemente sostituire le classi dirigenti attuali con nuove classi dirigenti. Il che è possibile, senza ghigliottina, solo in regimi democratico-liberali, che nessuno dei succitati vuole rovesciare.

Che fine faranno populismo e nazionalismo

Insorgono, a questo punto, due domande: come è stato possibile il ritorno di questi fantasmi tragici? È possibile dissolverli come nebbie passeggere?
Se parliamo del populismo grillino, esso è nato dal “Non-governo”. Non nasce da una crisi della rappresentanza, ma dall’impotenza dei governi. E questa è dovuta alla reciproca elisione degli interessi dei rappresentati. È possibile lasciarsi alle spalle i miasmi, che nascono dalla palude, solo se si riprende a far scorrere l’acqua della dialettica liberale tra i poteri. Il Parlamento rap-presenti i problemi, il Governo li affronti e li risolva. E il sistema politico pratichi la dialettica dell’alternanza dei partiti al governo, non la consociazione.
Se parliamo di nazionalisti, allora la battaglia è culturale. Il pianeta Terra è diventato un Mondo, patria di tutta l’umanità. Kant ne sarebbe stato felice. Oggi ne abbiamo tutti paura. Ma il ritorno alle piccole patrie dovrebbe indurre una paura anche maggiore. Le risposte semplificate della “democrazia dei creduloni” ai problemi complessi della globalizzazione raccolgono “i voti della paura”, ma sono destinate a ricadere come pietre sui nostri piedi.