Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei. Un ricordo di don Andrea Gallo

Foto: Don Andrea Gallo (1928-2013)

Quattro anni fa, il 22 maggio, moriva don Andrea Gallo, figura singolare e controversa della Chiesa italiana. Lo vogliamo ricordare con un’intervista rilasciata a Daniele Rocchetti un anno prima della sua morte.

“Detesto l’indifferenza. Te lo dice uno che ha passato molte notti a girare per i carrugi di Genova. Per me l’indifferenza è l'”ottavo vizio capitale”. A parlare così, come un fiume in piena, è don Andrea Gallo. Marinaio, viandante, a volte anche cantante. Fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto. Ma pure attore, ristoratore, opinionista e kingmaker. Amico, amicissimo di Fabrizio De André. Ma, soprattutto, prete, e, dice lui, povero Cristo tra i poveri cristi. A partire dai vent’anni quando ha preso “il biglietto da visita di Gesù” e ha visto scritto “sono venuto per servire e non per essere servito”: da quel momento è stato sulla parrocchia del marciapiede, tra disperati e derelitti. Quel che è certo è che questo anomalo e discusso prete genovese di ottantaquattro anni non si stanca di osare la speranza. Era il motto della sua brigata partigiana. Perché il male grida forte. Ma la speranza urla di più.

Chiedi spesso alla Chiesa di essere più forte nella denuncia e più coraggiosa nella testimonianza. Riguardo a quali temi?

Pensa, ad esempio, alla guerra. Noi cattolici dovremmo gridare con più forza il nostro rifiuto. Quella in Kossovo la NATO l’ha chiamata “guerra” umanitaria, la Santa Sede, per interesse apostolico, l’ha definita “ingerenza umanitaria”. Lo scorso ottobre a Roma si sono radunati tutti gli Arcivescovi che nei loro Paesi sono ordinari militari. Preti che, nell’esercito, hanno la qualifica di generale. In quell’occasione cosa ha proposto l’Ordinario italiano? Di nominare Patrono delle Forze Armate niente meno che Papa Giovanni XXIII! Mi viene da dire: “Eccellenza, ha mai letto l’enciclica Pacem in Terris?

Quando mi chiedono: “Don Gallo, in che università ha studiato?” rispondo sempre: “La strada”. Allora mi ricordo di aver commentato l’enciclica con Fernanda Pivano e Fabrizio De André. Quando leggevamo, avevamo accanto sia la traduzione italiana che il testo originale in latino. Ad un certo punto, nel testo italiano c’è scritto “È irrazionale pensare che la guerra moderna possa essere utilizzata come strumento di giustizia”. Quando siamo passati a leggere il testo latino abbiamo visto che quell’ “irrazionale” in realtà è “alienum est a ratione” che vuol dire, nel significato proprio, follia, pazzia. Insomma, stiamo attenti a non fare i giochi dell’enigmistica.

Dunque secondo te noi cristiani siamo troppo tiepidi nei confronti del Vangelo?

Cosa dice Gesù ai suoi uomini, alle sue donne? Siate sale. Il sale non si vede, è in mezzo al cibo e dà gusto. Poi dice: siate lievito, fate fiorire. Infine, siate chicco di grano che è buttato a terra, marcisce. Il Signore chiede di essere pronti perché ci sia giustizia per tutti, diritti per tutti. Monsignor Luigi Di Liegro, direttore della Caritas di Roma, amava dire: “È tanto bello il vecchio proverbio ‘Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei ‘ . Eppure, sosteneva, va cambiato. Guarda negli occhi la gente e digli: “Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei”.

Qualcuno ti accusa di piegare il Vangelo ad una lettura politica…

Il mio Vangelo è una poesia aperta al futuro. Una musica che porta le ali. Una voce che ispira sempre agli ultimi. È un vento nonviolento, una brezza, una brezza anticapitalista. Quando dico anticapitalista, intendo un nuovo modello di sviluppo, la decrescita serena. D’altronde le mie bussole sono due: come cristiano il Vangelo, come partigiano ed essere dotato di coscienza civile, la Costituzione.

Eppure calare il Vangelo nella storia significa fare i conti con la complessità. Guai se la profezia non si confrontasse con la parabola sapienziale.

La Chiesa ha un patrimonio evangelico di fraternità universale eppure si mantiene troppe volte sul generico, specie per quanto riguarda la prassi. Pensa a quanto poco stiamo facendo per un’educazione all’integrazione, all’accoglienza, alla solidarietà. In questo vuoto si fanno strada gruppi politici che hanno responsabilità precise nell’alimentare intolleranza. C’è una responsabilità nei confronti dell’altro che nasce dal Vangelo. Da questo saremo giudicati, non da altro.

I tuoi incontri sono sempre affollati da moltissimi giovani…

Non mi stanco di ripeterlo: non è vero che i giovani non hanno valori. Il punto è che hanno una forte esigenza di autenticità. Chi vuole diffondere la buona novella deve mettere l’altro in condizione di accettare il dono della fede. Quando la religione è una scelta imposta diventa un totalitarismo. Invece, per annunciare la fede la prima cosa è rispettare la libertà di tutti, poi ascoltare, accogliere e non giudicare, usare un linguaggio mai discriminatorio o dispregiativo. La grande domanda dei giovani davanti a chi annuncia loro la fede è: “Sei un testimone autentico?”. Perché non basta essere credenti, occorre essere credibili. Il Vangelo è vita, è liberazione. Noi cristiani siamo spesso lontani da questa logica, troppo presi da quella del mondo. Pensa al tema dell’accoglienza. Ogni uomo è immagine di Dio. Bisogna battersi per costruire ponti non muri. Lo vedo ogni giorno: quando allargo le braccia i muri cadono.

Dunque bisognerebbe essere maggiormente coscienza critica.

Sì, indubbiamente. Un cristiano abbatte gli idoli costruiti dall’uomo: denaro, potere, consumo, spreco. E anche questa immotivata spinta a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Anche qui dovremmo aiutare le comunità cristiane a pensare globalmente e agire localmente. Avere a cuore la famiglia umana, custodire l’indignazione per un sistema dove il venti per cento della popolazione consuma l’ottanta per cento delle risorse. “Ognuno responsabile di tutto” ce lo diceva tanti anni fa don Lorenzo Milani. Perché il confine del mondo è più grande del perimetro della mia parrocchia.