Ascensione. Un’insopprimibile nostalgia del cielo

Foto: Gerusalemme, l'”edicola dell’Ascensione”

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Vedi Vangelo di Matteo 28, 16-20).

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Il Signore nella gloria e la debolezza dei discepoli

È la finale del vangelo di Matteo. Alcuni particolari sono suggestivi, in questi pochi versetti. Gesù “torna al Padre”. Si congeda dai suoi sul monte. Il monte è uno dei luoghi tipici in cui Dio si fa incontro agli uomini e gli uomini possono incontrare Dio. Nel Vangelo alcuni discepoli sono saliti sul monte e hanno fatto l’esperienza della trasfigurazione. Adesso, ancora sul monte, Gesù si rivela come colui che ha avuto ogni potere in cielo e in terra. Dall’alto del mondo di Dio cui è ormai approdato invia i suoi perché facciano discepoli tutti i popoli. Ancora una volta, il cielo appare aperto sulla terra, Dio è “per noi”. Gesù non ci lascia orfani.

Di fronte a lui stanno i discepoli. Sono in undici: uno di loro ha tradito. Non solo, ma anche adesso, anche dopo l’esperienza della Pasqua, dubitano. Proprio nel momento in cui Gesù invia i suoi, il vangelo prende atto delle debolezze degli inviati. Il mandato di fare discepoli i popoli non discende dunque dai meriti della Chiesa ma dalla benevola condiscendenza del Signore.

Fragilità umane e nostalgia del cielo

La festa di oggi ci parla di cielo, verso cui Gesù sale, e della terra dove i suoi amici restano a parlare di Lui. Restano con loro paure e le loro debolezze. Ma, in mezzo a quelle paure, non cessano di coltivare la nostalgia di “lassù” dove il Signore è tornato.

La festa di oggi ci ricorda questo insopprimibile stridore che ci portiamo appresso: debolezze, peccati, putrido, marcio, nefandezze di ogni genere. Ma, insieme, un’insopprimibile nostalgia del cielo.

Mi viene in mente Céline:

Avete visto mai in compagna dalle nostre parti fare quello scherzo ai mendicanti? Si riempie un vecchio portamonete con delle budella di pollo andate amale. Eh bè, un uomo, ve lo dico io, è la stessa cosa, più grosso e mobile, e vorace, e dentro, un sogno.