Preti di ieri e di oggi. L’ingrediente segreto è il coraggio

Vedere dei giovani diventare preti oggi, suscita sempre un po’ di meraviglia. La meraviglia che dei giovani, giovani di oggi, abbiano trovato delle ragioni buone per una scelta così impegnativa. Sì, perché ai mei tempi (che bello questo mantra dei “diversamente giovani”: “ai miei tempi”), ai miei tempi si predicava ai ragazzi che volevano diventare preti la “rettitudine di intenzione”. Non si diventa preti per fare carriera e per fare soldi, ci si diceva. Parola sante, allora. E, se si vuole, sante anche oggi. Ma la situazione ovviamente è cambiata. La carriera resta ancora un pericolo. Il sogno di diventare “qualcuno” nella Chiesa, vescovi o cardinali, resta vivo. Anche se, con i tempi che corrono, con i problemi che la Chiesa deve affrontare, se uno desidera diventare vescovo è segno evidente che non è adatto. Gli manca la dote di fondo: il “comprendonio”, come diceva mio nonno. Cioè non capisce come è difficile quel compito e come è auspicabile, non arrivarci, ma evitarlo. E se non capisce una cosa così ovvia, è ovvio che non capisce neanche le altre. E allora è meglio che giri alla larga. Per i soldi il problema è più semplice. Un mio amico prete taglia corto: “Se uno diventa prete per fare soldi va cacciato a casa subito, non perché desidera i soldi ma perché è un deficiente”. Ancora questione di comprendonio: i soldi non si trovano lì. Si trovavano forse. Ma non si trovano più.

Ecco: la meraviglia di fronte a giovani che diventano confratelli è proprio questa: se hanno deciso così vuol dire che hanno trovato dei buoni motivi per decidere. E quei buoni motivi che li hanno portati oggi a decidere sono in parte simili a quelli che sostengono noi di un’altra generazione a continuare sulla stessa strada. Perché la situazione dei credenti oggi e quindi dei preti che sono al servizio di questi credenti è uguale per chi è giovane e per chi è vecchio. Ma se è uguale oggi, è diversa da quella di quando siamo stati ordinati noi. Mi pare evidente che servire la Chiesa di Papa Francesco chiede molto più coraggio di quello che ci si chiedeva, cinquant’anni fa, che servire la Chiesa di Papa Giovanni e di Papa Montini. La Chiesa incerta e dubbiosa di oggi non è la Chiesa euforica di allora. Forse è anche per questo che i preti che vengono ordinati oggi sono meno numerosi di quelli che veniva ordinati cinquant’anni fa. Ci vuole più coraggio, appunto, e non tutti ce l’hanno.

Ma il fatto che qualcuno ce l’abbia è un grande segno di speranza, anche per noi “avanzati negli anni”. In fondo, semplificando molto e lasciandoci un po’ andare a una qualche forma di romanticismo ecclesiastico, questo significa che davvero il Signore non ci ha proprio del tutto abbandonato. Abbiamo anche altri segni che ci confortano, per la verità, ma questo ci conforta in maniera diretta e particolare. È come un invito cordiale, convincente a continuare a guardare avanti. Ne vale la pena, ancora e nonostante tutto.