Idee da un pellegrinaggio sul Reno. Ricordando Lutero, e l’Europa e le Chiese e il divorzio di queste dalla politica

Foto: Worms, il duomo

La riforma protestante

Risalire in barca il Reno dalla foce verso le sue sorgenti e fare sosta, di volta in volta, su una sponda o sull’altra è come fare un pellegrinaggio “ad fontes aquarum” dello spirito dell’Europa. Le rive sono una successione di castelli e chiese, spesso a base romanica e a slancio gotico, talora da cattoliche divenute protestanti e, queste ultime, talora trasformate in sedi di mostre, musei e, persino, in location per eventi mondani. Passando per Worms, impossibile non riandare alla famosa assemblea dei Principi del Sacro Romano Impero – la Dieta – là convocata dal 28 gennaio al 25 maggio 1521 da Carlo V d’Asburgo per costringere Lutero a ritrattare le sue Tesi, che avrebbero dato origine alla Riforma poi detta “protestante”, così come aveva chiesto la Bolla Exsurge Domine di Papa Leone X.  La storia racconta che Lutero parlò dal 16 al 18 aprile, rifiutandosi di abiurare, perché “prigioniero della propria coscienza”. Il suo destino fu migliore di quello di Jan Hus, il teologo boemo chiamato a difendersi al Concilio di Costanza del 1415 e poi processato e bruciato sul rogo, nonostante avesse avuto il salvacondotto. Lutero, protetto dal Grande Elettore Federico III di Sassonia, la scampò.

Lutero preso per le mani dalla politica

Percorrendo il fiume cruciale della storia europea, a cinquecento anni da quando Martin Lutero lanciò la sua sfida di riforma alla Chiesa, è inevitabile interrogarsi sui soggetti costruttori dello spazio culturale, etico e politico europeo. La domanda è pertinente al momento storico presente, nel quale l’Europa è chiamata a fare, come soggetto politico-istituzionale unitario, un salto quantico su un’impegnativa orbita mondiale. Interrogarsi sul destino del luteranesimo e sulle sue contraddizioni resta un passaggio obbligato della riflessione.

Quando apparve all’orizzonte, Lutero si presentò come uno della serie dei riformatori, che avevano percorso con alterne e talora tragiche vicende la storia della Chiesa, dai Catari, a Pietro Valdo, a Gioachino da Fiore, agli Spirituali a Jan Hus… Le loro erano “teologie politiche”, che mettevano in discussione l’intreccio esistente tra Chiesa, potere economico, potere politico e perciò erano esposte all’accusa di eresia e ai provvedimenti brutali conseguenti. L’eresia è sempre stata combattuta con le torture, con la spada e con il fuoco. Ma a Lutero andò meglio, proprio grazie all’intreccio che avviluppava in unum la Chiesa e il Sacro Romano Impero. E questo segnò anche la prima delle contraddizioni, delle incoerenze e dei limiti del luteranesimo, che, nato per spezzare l’intreccio fede/politica, finì per alimentarlo. Il luteranesimo fu preso per le mani dalla politica e si trasformò in un movimento politico anti-imperiale.

L’uso politico della fede e la “disunione europea”

Come denunciò a suo tempo Max Weber, la “disunione europea” incominciò con la Pace di Augusta del 1555, allorché venne affermato il principio del “cujus regio, ejus religio”, che aprì ferite irreversibili nell’Impero e tra gli Stati, secondo linee di frattura confessionali, culturali e linguistiche, tra cui quella tra Nord-Europa e Sud-Europa, tra mondo anglo-sassone e mondo latino-mediterraneo. La Pace di Westfalia del 1648 tenterà di suturarle, solo dopo le feroci guerre di religione del ‘500 e la devastante Guerra dei Trent’anni. Alla base stava una storia costantiniana, di cui Lutero aveva tentato di eliminare gli effetti, ma di cui non denunciava le cause, l’intreccio sostanziale tra fede e potere politico.

L’utopia dell’omnis sacerdos si infranse ben presto, non solo perchè si costituì una gerarchia ecclesiastica protestante, ma anche perché questa fu interamente controllata dal potere politico, dando luogo a “chiese nazionali”. In realtà l’intreccio si strinse vieppiù e divenne pervasivo. Non fu la fede a dividere, ma l’uso politico della medesima. Uso politico storicamente “necessario”, perché la fede forniva un’etica, senza la quale le società non stanno in piedi. Etica cristiana, nella versione riformata, e etica pubblica tornarono a coincidere, talora in direzione teocratica, come nella Ginevra di Calvino. Coincidenza tipica delle società politiche “cattoliche”. Ma là l’etica era meno intransigente, i peccati/reati più perdonabili. Ma, appunto, anche la versione riformata continuava a identificare peccato e reato, diritto e etica, Stato e religione.

Il luteranesimo “religione del libro” e la “disincarnazione”

La seconda contraddizione è quella della rivendicazione del “libero esame”, con lettura e interpretazione diretta della Bibbia, senza intermediari. Saranno altri riformatori, soprattutto i Puritani scozzesi, a trarre tutte le conseguenze ecclesiastiche e politiche dal libero esame. Che solo tardivamente si trasformerà in “libertà di coscienza”.  Non in Lutero. Tuttavia ottenne come primo effetto l’alfabetizzazione di molta parte della popolazione. Fuori della Bibbia non c’era salvezza. Dunque, bisognava imparare a leggere e a scrivere. Ma con ciò il luteranesimo tendeva anche a divenire “una religione del Libro”, in cui l’Incarnazione perdeva a poco a poco significato.

Saranno il razionalismo di Harnack e la “demitizzazione” di Bultmann a portare alle estreme conseguenze la “disincarnazione. Questo era anche l’inizio della riduzione del messaggio biblico da teologico a etico, quasi che la Bibbia fosse solo un prontuario di buoni consigli morali. Incominciata con Leibniz e Kant e compiutasi con Hegel, l’etica pubblica fu privata delle sue basi teologiche, la fede fu interpretata come “platonismo per il popolo”. In Hegel il nuovo Assoluto diventava lo Stato, “il divino nel mondo”, che prendeva il posto di Gesù Cristo.

Alla fine, la Riforma protestante fu assai meno radicale di quanto le premesse sembravano annunciare.

Le Chiese hanno abbandonato la politica e viceversa

Intanto… la politica ha abbandonato la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti e loro hanno abbandonato la politica. Eppure, lo scioglimento di quell’intreccio fede, politica, etica lascia, oggi, l’etica pubblica e perciò la politica senza fondamento. L’effetto della frana dei fondamenti è la crescente e invasiva giuridizzazione dello spazio pubblico. Mentre l’etica introietta i comportamenti “buoni”, il diritto li estroverte e li fissa oggettivamente. Fino a quando?

A cinquecento anni dalla Riforma, isolate le cause politiche e culturali da quelle strettamente teologiche e ricondotte queste ultime in dimensioni più modeste, sta davanti a tutti i cristiani il tema della generazione di uno spazio pubblico, la cui configurazione precede la politica. È lo spazio in cui si giocano l’essenza dell’uomo e la libertà dell’uomo. Come recita il ”principio di responsabilità” formulato da Hans Jonas, “in nessuna sfida dell’agire umano l’essenza e l’esistenza dell’uomo siano la posta in gioco”. Chi vigilerà sulle poste in gioco?