Il ricordo di Trento Longaretti: la mostra del centenario al Museo Bernareggi, e l’umiltà di un grande maestro

Le ultime due mostre importanti Trento Longaretti le ha avute a Bergamo e Brescia. L’ultima a Brescia, al Centro Paolo VI di Concesio. La penultima, quella del centenario al Museo Bernareggi, inaugurata il giorno del suo compleanno, circondato dagli amici di una vita, compreso Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose, amico e ammiratore di lunga data. In quella calda estate in cui si preparava la mostra, Trento preparava la sua vacanza in Francia, al mare, nella Costa Azzurra che a quelli della sua generazione ancora ricorda obbligate frequentazioni d’artista. Ma questa incombenza, utile al suo riposo e necessaria alla sua salute, non gli aveva impedito di interessarsi del progetto con una applicazione sorprendente per un uomo che si avviava a compiere cento anni. Accompagnava la sostanza e sorvegliava i dettagli fingendo una discrezione che era solo il buon garbo della sua immutata lucidità. Per certe opere di incerta locazione era stato necessario ricorrere ancora alla sua prodigiosa memoria. Non aveva mancato nemmeno di esprimersi sulle invenzioni grafiche che andavano prendendo forma in vista dell’esposizione. Tra le parole spese per queste faccende più pratiche, lasciava risuonare in qualche momento pensieri che attraversavano la sua mente ritrovandosi di fronte ai suoi vecchi quadri. Qualche giudizio appena venato di un certo pentimento. Qualche dettaglio utile all’esegesi di un dipinto. La sua teoria dei colori. La sua visione dell’arte, tradotta in predilezioni che, osservate dall’alto della età esorbitante, assumevano la consistenza di scelte ormai ineluttabili. Gli avevo sentito esprimere più volte, nei mesi precedenti quell’estate, qualche interrogativo su quel doppio sé, uno più creativo e l’altro più obbediente, che ha sempre in qualche modo conteso il talento dell’unico Longaretti. Mi sembrava che in quelle settimane questi pensieri continuassero a aleggiare, come un brusio interiore, una intensa lucida scansione interiore sul senso di una intera carriera artistica. Ma queste voci non sembravano privarlo della serenità di un artista convinto del suo percorso. Soprattutto la sua intatta fedeltà alla figura e il suo indefettibile riguardo per la questione umana. I due sostanziali ingredienti della sua vocazione di pittore. Ci aveva tenuto molto a quella mostra. Era stato felice della festa. Aveva ringraziato con dolce insistenza. Era cosciente di aver fatto epoca a Bergamo e manifestava la sua riconoscenza del fatto che qualcuno si fosse premurato di ricordarlo. È stato anche un uomo determinato e intraprendente. Io ne ho visto questo lato abbandonato e cerimonioso. Questa signorile umiltà che forse da vecchi capita di incarnare. E quello sguardo di uno cui pare un miracolo essere ancora al mondo.