L’ISIS e la teologia del terrorismo. Noi e la secolarizzazione ignorante

“Colpire migliaia per educarne milioni”

Mentre l’ISIS sul territorio dell’Iraq e della Siria si comporta come uno Stato, quando opera sul piano internazionale adotta tecniche terroristiche, con attentati individuali e stragi di massa. Eppure, lo scopo del movimento terroristico islamista non è militare. Non si illude certo di sconfiggere militarmente gli Stati cui ha dichiarato guerra. Il fine è politico-culturale-egemonico: spaventare per sottomettere. “Colpirne uno per educarne cento”: così uno slogan del terrorismo BR degli anni ’70 in Italia. La logica resta simile, anche se le quantità si devono decisamente moltiplicare: colpirne migliaia per educarne milioni. Terrorizzare i popoli per aprire la strada alla Shari’a, al Corano come regolatore della vita civile.

Il terrorismo ha una sua teologia

Perchè? Solo per interessi economici? La religione non c’entra? Non si possono comprendere le cause del terrorismo islamista, se non si fa riferimento alla sua teologia politica. L’Islam, ultima nata delle religioni abramitiche, condivide con l’Ebraismo e con il Cristianesimo una teologia della storia, di cui protagonista è un Redentore. Si tratta di tre teologie della liberazione. Ciascuna a modo proprio, si intende. Nell’Ebraismo è il Messia, atteso di secolo in secolo, che libererà il popolo eletto dall’oppressione e istituirà il Regno di Dio in terra; nel Cristianesimo il Messia è già qui, è Gesù il Cristo, ma la liberazione non è di questo mondo, il suo Regno non è di questa terra. Verrà “alla fine dei tempi”, quando il Bene e il Male saranno separati e il Male espunto per sempre dalla storia, che, infatti, sarà finita come tale. Anche nell’Islamismo, il liberatore è già qui: Maometto, “il sigillo dei profeti”, ultimo della serie dei patriarchi/profeti, di cui Gesù è il penultimo, che annuncia l’unico Dio e la necessità della sottomissione (Islam significa appunto sottomissione) alla Legge di tutti gli uomini: quelli delle religioni del Libro (ebrei, cristiani, zoroastriani) o si convertono o pagano un tributo, i pagani devono essere sterminati.

Dio è un libro il libro è Dio

Dio ha parlato a Maometto attraverso l’Arcangelo Gabriele, che gli ha dettato il Corano. Benché redatto a 20 anni dalla sua morte, il Corano è pensato come eterno e increato: non è la parola umana su Dio, è Dio che parla. Nel Cristianesimo Dio si “in-carna”; nell’Islam Dio si “in-libra”. Dio è un Libro, il Libro è Dio. Da questa concezione deriva l’interpretazione letteralistica di ogni “Sura” del testo coranico. È noto, per es., che le Sure si contraddicono spesso, oscillando tra versetti “misericordiosi” rispetto ai non credenti e versetti omicidi, “i versetti della spada”. La teologia mutazilita, nata in ambito sunnita, ma adottata dagli Sciiti nel IX secolo, negava il carattere increato ed eterno del testo e perciò valorizzava la libertà di interpretazione della ragione umana. È stata distrutta dai Sunniti come eresia.

L’uomo non è libertà. La comunità è politica

Che dice questo sacro testo? Primo: che Dio è Volontà abissale, puro Arbitrio. Pare di leggere lo Schopenhauer di “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Non è necessario adottare le categorie di Feuerbach per accorgersi che questa teologia è la proiezione di un’antropologia filosofica, per la quale l’uomo non è né ragione né libertà. La creatura è solo volontà sottomessa. Dio non si mescola con la storia dell’uomo, non dialogo con l’uomo, gli dà solo ordini. Secondo: la comunità dei fedeli – la Umma – è politica. È nata nel periodo di Medina (622-632) come potere, stato, esercito, guerra. Non si dà Islam senza Stato. Così ha conquistato la Mecca e un bel po’ di ecumene bizantina. Mentre l’Ebraismo si è sciolto nelle successive diaspore – lo Stato di Israele ne costituisce, a tutt’oggi, solo una piccola parte – mentre il Cristianesimo ha chiuso con l’epoca costantiniana, senza mai arrivare a costituire una teocrazia, l’Islam condensa e fonde nella Shari’a fede e stato.

Il terrorismo ISIS

La teologia politica, la politica quotidiana, le pratiche terroristiche dell’ISIS nascono di qui. Non sono in contraddizione con l’Islam, ne costituiscono una versione legittima, filologicamente fondata, che si pretende unica. Affermare, come fa un certo ecumenismo leggero, che tutte le religioni monoteistiche adorano lo stesso Dio e che il terrorismo islamico non c’entra per nulla con l’Islam significa precludersi la visione della realtà storica. Che l’islamismo sia moderato politicamente o radicale fa, certo, una grande differenza – quella tra pace e guerra – ma questa nasce dal tronco di un discorso unico circa la natura dell’uomo e di Dio, circa il rapporto tra fede e Stato, tra Stato e società civile, dal quale nascono rami moderati o, appunto, radicali.

La conversione necessaria

La prima conseguenza di questa analisi è che la sconfitta del terrorismo islamico sarà possibile sul piano politico-militare, solo se saremo in grado di prosciugare l’acqua ideologica in cui nuota. Saremo chi?! In primo luogo, l’Islam sedicente “moderato” deve fare battaglia sui fondamenti. Finora solo il Gran Mufti della Repubblica Araba d’Egitto Shawki Ibrahim Abdel-Karim Allam e Al Sisi, il presidente egiziano, hanno preso una posizione culturalmente fondata. Che consiste nell’affermare che l’Islam non è superiore a nessun’altra religione e che tutti i credenti di tutte le religioni sono “compagni di strada” verso un mondo migliore. E con loro pochi altri in Europa e in Italia. Ma nelle moschee d’Italia e d’Europa, ufficiali o clandestine, le cose non vanno proprio così. In secondo luogo, noi siamo il “chi”: noi “occidentali”, credenti o no. Una volta chiarito che deve essere respinta la Shari’a quale criterio di organizzazione della vita civile e dei rapporti tra le persone, in particolare delle relazioni uomo/donna, una volta constato il fallimento del multiculturalismo all’inglese – in forza del quale le comunità islamiche tendono ad esercitare una shari’a privata – e dell’assimilazionismo francese, qual è la politica dell’accoglienza in Italia?

Il problema in Italia. Urge fare cultura

Oscilliamo tra il politically correct – per il quale il relativismo culturale è di rigore e per il quale non bisogna costruire il presepe natalizio nelle scuole, per non offendere gli islamici! – l’identitarismo nazionalistico ottuso e l’amministrazione statale ancora largamente impreparata a gestire i fenomeni immigratori. Ma, soprattutto, allarma la crescente incapacità delle nostre istituzioni educative – famiglia, scuola, parrocchia – di trasmettere la storia civile, intellettuale, religiosa del Paese e dell’Europa alle giovani generazioni. Si può “dialogare” con il Corano senza conoscere la storia del mondo, la storia della civiltà europea, l’Antico e il Nuovo testamento? No: si dà solo subalternità culturale preventiva o respingimento ottuso e inefficace. L’ignoranza religiosa indebolisce gravemente la battaglia culturale contro l’islamismo radicale. Io dialogo realmente con l’Altro se sono un Io consapevole della mia storia. La secolarizzazione ignorante e volgare di cui sono protagonisti/vittime, via mass/social media, i nostri giovani apre la strada alla radicalizzazione neo-islamica dei ragazzi della seconda/terza generazione di immigrati.