Reddito di inclusione: un passo per la lotta alla povertà, con tante questioni da risolvere

Rei: una misura per avviare un processo. Punti forti e questioni da risolvere. Il motore è avviato. L’Italia tra poco avrà una misura per il contrasto sulla povertà. Eravamo rimasti gli unici in Europa a non avere una misura di sostegno al reddito per i cittadini in stato di deprivazione. A partire dal 2018, invece, ci sarà il Rei (Reddito di inclusione), che prevede un sostegno per i più poveri da 188 a 488 a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare. Si tratta di una misura che andrà in soccorso a circa 660mila famiglie in stato di povertà assoluta, le quali dovranno provare attraverso l’Isee la loro condizione.

La logica del Rei è corretta. In parallelo al sostegno monetario si dovranno proporre ai beneficiari alcuni percorsi di inserimento nel mondo lavorativo. Un modo per promuovere i cittadini affinché possano uscire dalla loro condizione.

Ci sono però alcune osservazioni da tenere presente perché la misura possa essere rivista e migliorata in futuro.

Innanzitutto, come ha osservato l’Alleanza contro la povertà, la rete di organizzazioni ecclesiali e laiche tra cui la Caritas, le Acli, l’Azione Cattolica, i sindacati della Cigl, Cisl e Uil, la Conferenza delle Regioni, è positivo che sia stato fissata una linea di finanziamento strutturale e una struttura nazionale per sostenere i territori, tuttavia sarà determinante per il futuro da un lato introdurre un Piano pluriennale per rendere effettivamente universale la misura e quindi allargare la platea degli aventi diritto, e dall’altro lato sarà fondamentale proporre un contributo economico adeguato a standard di vita dignitosi.

Inoltre, osservando i dati sulla povertà in Italia vanno considerate almeno altre due indicazioni perché si possa affrontare con efficacia la questione della povertà.

La prima questione è la numerosità delle famiglie. Come si può cogliere dalla figura 1, la crisi economica in Italia penalizza le famiglie con più figli e in particolare quelle con figli minori. Versano in stato di povertà il 4,9% delle famiglie con un unico figlio (il 6,5% di quelle con un figlio minore) e arrivano al 13,3% le famiglie con 3 o più figli (il 18,3% di quelle con figli minori). Questa indicazione è allarmante, perché il coinvolgimento dei minori porta a un fenomeno di riproduzione dello stato di povertà. Cioè chi nasce da una famiglia povera tende a rimanere poi povero nel corso della sua vita, perché egli avrà meno opportunità. Sinceramente il contributo per ora stanziato non riuscirà a rendere le condizioni dei minori coinvolti simili a quelle dei loro coetanei.

In Italia i minori in povertà assoluta sono quasi l’11% del totale e sono oltre il 20% quelli in povertà relativa. Come si scrive in un rapporto dell’Iref (Istituto di ricerche educative e formative): la “povertà dei bambini non riguarda solo budget familiari inconsistenti, ma rappresenta la cifra assai grande della distanza che c’è tra i valori fondativi del nostro essere e sentirsi popolo, impressi nella Carta Costituzionale, e l’effettiva concretizzazione degli stessi valori. La povertà infantile è una condizione che colpisce e mortifica la persona nella sua dignità e nella sua capacità di realizzarsi”.

La seconda questione è il rapporto tra povertà e lavoro. In particolare la povertà coniugata alle opportunità lavorative.

Il Rei prevede, oltre al sostegno economico, la proposta di servizi per instradare le persone nel mercato del lavoro. Purtroppo però la realtà italiana è molto squilibrata e non tutti i territori offrono le stesse opportunità.

Come si evince nella figura 2, che mostra il tasso di occupazione nella penisola a livello provinciale, mentre nel Nord e Centro del Paese l’occupazione è al di sopra del 60%, verso il Sud “sbiadisce”. Così appare ancora più evidente che ai contributi economici vanno affiancati progetti per lo sviluppo del Paese. Altrimenti sconfiggere la povertà sarà impossibile, perché i territori con minori risorse avranno poco da offrire ai più fragili. Proprio il 27 maggio 2017, durante la sua visita pastorale a Genova, Papa Francesco sottolineava l’importanza del lavoro per combattere la povertà: “Bisogna allora guardare senza paura, ma con responsabilità, alle trasformazioni tecnologiche dell’economia e della vita e non rassegnarsi all’ideologia che sta prendendo piede ovunque, che immagina un mondo dove solo metà o forse due terzi dei lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale. Dev’essere chiaro che l’obiettivo vero da raggiungere non è il ‘reddito per tutti’, ma il ‘lavoro per tutti’! Perché senza lavoro, senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti”.

L’avvio di una misura come il Reddito di inclusione è utile per alleviare una situazione di sofferenza, ma senza una serie di interventi rivolti ad offrire nuove opportunità di vita alle persone a partire dalla possibilità di reali e dignitose proposte lavorative, i cittadini più fragili rimarranno ai margini della società.